Finalmente ho terminato il mio secondo romanzo. So che tutto questo scrivere mi prende troppo tempo, impedendomi di aggiornare costantemente il blog, ma fino a che ho le idee giuste per scrivere libri, penso sia meglio che mi ci dedichi.
Cliccando sul titolo verrete ridirezionati sul sito ove è possibile visualizzare il libro, gustare l'anteprima preparata per voi, ed eventualmente procedere all'acquisto. Vi ricordo che il natale si avvicina, fatevi sotto che è un ottimo regalo.
Un saluto a tutti
Fabio
martedì 2 dicembre 2008
lunedì 8 settembre 2008
Il primo inverno di Magdeline (4)
Non sapeva come considerarla. Non sapeva se poterla immaginare un’amica, una nemica o semplicemente la futura suocera. Per alcuni mesi Carmen era stato un riferimento chiaro, indiscutibile. Il pensiero che potesse trattarsi di una nuova madre, di un punto di riferimento era così presente nella testa di Magdeline che sembrava tangibile quanto lo sembrava la fame.
-Que Ambre!- Pensò e si ricordò di quando, discutendo del più e del meno nel tentativo di ammazzare la noia dei pomeriggi senza turisti, un’amica gli chiese:
-Ma la fame è astratta o tangibile?-
-Che domande fai a quest’ora del pomeriggio?- fu la risposta di Magdeline. Risposta di comodo, evidentemente, ma da quel giorno in poi il pensiero che la fame potesse essere tangibile anche se non si poteva vedere o toccare, le rimase dentro.
Ora era li a guardare la Carmen che beveva e cantava, accennando anche dei passi di salsa. La Carmen con quel pancione ridicolo e i seni che le arrivavano fin quasi all’ombelico. La Carmen una donna che aveva cinquanta anni, ma ne dimostrava almeno 20 in più. Anche per quel motivo aveva accettato le avances di quel ragazzo Italiano che Carmen gli aveva praticamente buttato addosso. Non voleva diventare come lei, Magdeline avrebbe voluto una famiglia, ma non li non a Cuba. Non poteva pensare di vedersi tra 20 o 30 anni con pochi denti, una pancia enorme, a bere birra e a mangiare fino a scoppiare e a rallegrarsi perché il proprio figlio aveva ingannato una turista Spagnola ed era riuscito a convincerla a sposarlo. Oscar, il figlio di Carmen, il suo Oscar, il suo fidanzato, il suo amante più focoso e più rimpianto tra tutti quegli uomini che Magdeline aveva avuto. Beveva e pensava, pensava e beveva. Rideva, anche. Un riso amaro ma ben simulato. Marco ogni tanto le si avvicinava e la baciava. Quel ragazzo che le aveva rimediato la Carmen sembrava fosse una sconfitta, un contentino per la perdita che le aveva imposto, Magdeline, però, aveva tutta l’intenzione di trasformarla in una vittoria. Si alzò dai gradini ove era sistemata, con il grande piatto in mano, piendo di carne di maiale, pomodori, cipolla, riso e fagioli. Un piatto così grosso che si faceva fatica anche a mangiarlo con gli occhi. Iniziò a ballare Magdeline, sinuosa e sensuale strofinandosi su Marco quanto poteva. Quanto ben di Dio quel giorno in quella casa, quanto ben di Dio in quella “fiesta de la Mujher”. Quell’ 8 marzo del 2001 Marco, sottovoce, le annunciò che l’avrebbe portata con sè. Magdeline non volle crederci, complice l’alcool si sentì la testa leggera, la vista annebbiata. Fu un momento, poi l’allegria, quella vera, contagiò anche lei. La stronza di Spagnola le stava portando via Oscar, lei sarebbe scappata da Cuba con Marco. Anche Oscar avrebbe sofferto, anche lui avrebbe provato lo stesso dolore che il cinismo e la convenienza le avevano infilato nel cuore.
-Que Ambre!- Pensò e si ricordò di quando, discutendo del più e del meno nel tentativo di ammazzare la noia dei pomeriggi senza turisti, un’amica gli chiese:
-Ma la fame è astratta o tangibile?-
-Che domande fai a quest’ora del pomeriggio?- fu la risposta di Magdeline. Risposta di comodo, evidentemente, ma da quel giorno in poi il pensiero che la fame potesse essere tangibile anche se non si poteva vedere o toccare, le rimase dentro.
Ora era li a guardare la Carmen che beveva e cantava, accennando anche dei passi di salsa. La Carmen con quel pancione ridicolo e i seni che le arrivavano fin quasi all’ombelico. La Carmen una donna che aveva cinquanta anni, ma ne dimostrava almeno 20 in più. Anche per quel motivo aveva accettato le avances di quel ragazzo Italiano che Carmen gli aveva praticamente buttato addosso. Non voleva diventare come lei, Magdeline avrebbe voluto una famiglia, ma non li non a Cuba. Non poteva pensare di vedersi tra 20 o 30 anni con pochi denti, una pancia enorme, a bere birra e a mangiare fino a scoppiare e a rallegrarsi perché il proprio figlio aveva ingannato una turista Spagnola ed era riuscito a convincerla a sposarlo. Oscar, il figlio di Carmen, il suo Oscar, il suo fidanzato, il suo amante più focoso e più rimpianto tra tutti quegli uomini che Magdeline aveva avuto. Beveva e pensava, pensava e beveva. Rideva, anche. Un riso amaro ma ben simulato. Marco ogni tanto le si avvicinava e la baciava. Quel ragazzo che le aveva rimediato la Carmen sembrava fosse una sconfitta, un contentino per la perdita che le aveva imposto, Magdeline, però, aveva tutta l’intenzione di trasformarla in una vittoria. Si alzò dai gradini ove era sistemata, con il grande piatto in mano, piendo di carne di maiale, pomodori, cipolla, riso e fagioli. Un piatto così grosso che si faceva fatica anche a mangiarlo con gli occhi. Iniziò a ballare Magdeline, sinuosa e sensuale strofinandosi su Marco quanto poteva. Quanto ben di Dio quel giorno in quella casa, quanto ben di Dio in quella “fiesta de la Mujher”. Quell’ 8 marzo del 2001 Marco, sottovoce, le annunciò che l’avrebbe portata con sè. Magdeline non volle crederci, complice l’alcool si sentì la testa leggera, la vista annebbiata. Fu un momento, poi l’allegria, quella vera, contagiò anche lei. La stronza di Spagnola le stava portando via Oscar, lei sarebbe scappata da Cuba con Marco. Anche Oscar avrebbe sofferto, anche lui avrebbe provato lo stesso dolore che il cinismo e la convenienza le avevano infilato nel cuore.
sabato 30 agosto 2008
Il Viaggio di Raimondo Capitolo I
I
Capua 22 Luglio 1501
La vista dal bastione era la stessa da cinque giorni: circa trentacinquemila uomini al comando del Generale Bernard D’Aubigny avevano posto il campo a circa un miglio dalle mura e stavano assediando la città. Il Capitano Prospero Colonna guardava preoccupato lo spettacolo imponente e cercava un punto debole nello schieramento nemico utile ad una sortita notturna.
-Capitano Colonna!-
Il grande Condottiero si girò di scatto, allarmato dal tono di voce di chi lo chiamava.
-Che succede?- rispose con voce talmente forte da arrivare chiaramente alla base del bastione.
-E’ arrivato un messo con una missiva per voi –
-Un messo? Buon dio! Come avrà fatto a passare oltre le forze Francesi?-
Il soldato rispose:
-Correva come se avesse l’inferno alle spalle. È entrato dalla porta che guarda a sud. Era inseguito, ma il Fieramosca ha fatto lanciare i balestrieri che hanno colpito un cavaliere Francese. Gli altri temendo per la vita, hanno desistito dall’inseguire.-
-Bene! Vengo a vedere – disse il Colonna accingendosi a scendere dal bastione.
Il messaggero era smontato da cavallo ed in ginocchio beveva da un vaso. Appena vide il Comandante del presidio si alzò in piedi e restituì il vaso ormai vuoto al soldato che gliel’aveva consegnato.
-Hai una lettera per me?- disse laconico il Colonna
-Ecco a lei Capitano- rispose ossequioso il soldato. Prospero prese la lettera e guardò con attenzione il messaggero; vide che era poco più che un ragazzo.
-Come ti chiami soldato?-
-Ubaldo Gregari , signore-
- Sei giovane! quanti anni hai?-
-Abbastanza per non farmi prendere dai Francesi, Capitano- rispose il ragazzo con orgoglio, e poi sorrise.
Prospero gli diede una pacca tra collo e spalla, poi diede ordine ad uno dei soldati di rifocillarlo. Lo osservò per un poco mentre, accompagnato dal soldato, si dirigeva verso le cucine con passo stanco, poi ruppe il sigillo e aprì la lettera.
Rimase impassibile, anche se l’ordine che era arrivato non gli piaceva affatto. Si diresse quindi verso quello che era diventato il quartier Generale e diede ordine di convocare i propri capitani.
Una volta arrivato nella stanza momentaneamente vuota, si sedette su una sedia di legno e rilesse la lettera come per essere sicuro degli ordini ricevuti. Di lì a poco arrivarono Il conte di Caiazzo, Ettore e Guido Fieramosca, Ettore Giovenale e Il cugino Fabrizio Colonna, Gran Connestabile del regno di Napoli. Prospero guardò il cugino e gli porse la lettera che aveva appena ricevuto. Nel silenzio Generale Fabrizio lesse con molta attenzione e con estrema sicurezza esclamò:
-Ci arrendiamo!- e rimase in silenzio a guardare i capitani. Dopo pochi secondi una serie di osservazioni tempestarono i Colonna, e il vociare divenne sempre più incomprensibile: si parlava di pazzia, di disonore, e tutti erano increduli di una simile scelta. Prospero allora prese la lettera del Re, dalle mani del cugino e la gettò sul tavolo.
-Ci dobbiamo arrendere, è un ordine del Re in persona!- tuonò.
Dopo una pausa riprese a parlare:
-Ordina di consegnare la città e di ritirarci a Napoli. Ha necessità di una forza militare intatta per difendersi dai baroni che gli sono ostili. Senza considerare poi la minaccia dei Turchi. L’ordine è chiaro e non va né discusso nè negoziato. Vi ho voluto avvertire per rispetto di come durante questi giorni mi avete servito e per come avete difeso le mura dall’assalto Francese. Avrei voluto permettervi più gloria, ma non è più possibile. Come sapete il mio intendimento era quello di costringerli ad un altro assalto o a smontare le tende e togliere l’assedio, ma dobbiamo attenerci a quanto ci è stato ordinato!-
-Proviamoci Capitano – disse uno dei Fieramosca.
-Non è negoziabile Messer Fieramosca. So che i suoi balestrieri farebbero strage dei Francesi, come so che il Capitano Giovenale, il vostro fratello Ettore, e tutti gli altri cavalieri, caricherebbero volentieri e a più riprese i Francesi, ma questi sono gli ordini. Sono figli di un calcolo politico che a noi non compete discutere.
Fabrizio riprese la parola:
- Domani mattina io, Prospero e il Conte di Caiazzo tratteremo i termini della resa. Per voi e per tutti i tremila difensori ci sarà la salvezza a Napoli.-
-Ma non ci sarà l’onore!- Rispose Ettore Fieramosca guardando con aria di sfida il Capitano. Prospero impassibile gli rispose:
-I vostri ventisei anni vi spingono all’azione, i miei quarantanove mi spingono alla ragione e all’obbedienza Capitano. Così sara!-
Fece un cenno di intesa a Fabrizio, che ricambiò, poi i due Colonna e il Conte di Caiazzo uscirono dalla stanza.
Il sole di luglio era alto nel cielo, e nel campo Francese la calura costringeva i più a rifugiarsi dentro i padiglioni. Fuori c’erano solo i soldati sufficienti per la guardia. L’atmosfera era funerea: la cocente sconfitta subita i giorni precedenti, aveva reso i soldati poco fiduciosi in una rapida soluzione dell’assedio. Le consistenti perdite subite, davano la certezza di dover attendere l’arrivo delle artiglierie per poter smantellare pezzo per pezzo le mura. Solo dopo il crollo dei bastioni l’assalto sarebbe stato possibile. Vitellozzo Vitelli, uomo di fiducia del Duca Valentino calpestava la terra ancora intrisa dal sangue dei feriti che solo tre giorni prima giacevano a centinaia in attesa delle cure dei medici. Vitellozzo zoppicava vistosamente colpito alla coscia da una delle tante “quadrella” che erano piovute sulle schiere Francesi. Il Vitelli era consapevole di essere stato fortunato: lui era stato ferito ad una gamba, gli altri tre comandanti dell’assalto avevano perso la vita crivellati dai dardi.
Vitellozzo entrò nella tenda del Duca dopo essersi annunciato a voce, trovandovi il Valentino in piedi e in procinto di indossare le vesti. Stesa sul giaciglio c’era una ragazza di neanche vent’anni: una delle tante prostitute al seguito degli eserciti in cerca di un occasione per sopravvivere.
-Si sono accordati Cesare- Disse il Vitelli non facendo caso più del dovuto alla presenza femminile.
Cesare Borgia, Duca di Gandìa e di Valentinois, ex cardinale e figlio del Papa Alessandro VI, fece cenno alla ragazza di uscire, attese il tempo necessario e poi rispose:
-Quali sono i termini?-
-D’Aubigny ha chiesto 80000 ducati, ma alla fine si sono accordati per la metà –
-Quarantamila ducati? Bene bravo D’Aubigny che giunge a patti senza interpellarmi. E a quando il lieto evento? –
-Domani nel primo pomeriggio si presenteranno alla porta principale con il denaro e noi lasceremo andare tutti gli uomini di Prospero Colonna.
Non torcemo un capello agli abitanti di Capua-
-Noi?- Rispose il Borgia alzando la voce :
-Io non ho preso accordi con nessuno! Non giungo a patti con i Colonna, - specie quando ho già in mano la città.-
-E allora? che volete fare Duca?-
-Ho due terzi delle forze ai miei ordini e non ho alcuna intenzione di lasciare al D’Aubigny una città che per accordi con il re di Francia doveva essere mia. Se le città non cadono con gli assalti, o non muoiono con gli assedi, come si fa?- Disse il Valentino con fare retorico
Con le artiglierie? – Rispose il Vitelli dubitando che la risposta potesse essere così semplice.
C’e una quarta via per prendere una città- Rispose il Duca con un sorriso enigmatico uscendo dalla tenda.
Fabrizio Ridolfi era l’ufficiale più alto in grado e in quel momento presidiava le mura. Ormai mancavano solo un paio di ore al momento della resa. Le forze colonnesi sarebbero uscite dalla porta che dava verso Sud, mentre i Francesi, con il D’Aubigny, sarebbero entrati dalla porta nord e avrebbero preso possesso della città in nome di Luigi XII re di Francia. Il Ridolfi osservava le forze Francesi che si avvicinavano alla porta. Oltre al D’Aubigny nelle prime file si trovava anche il Borgia in sella al proprio cavallo. Nella città le forze colonnesi si erano già radunate e attendevano solamente l’ordine di mettersi in marcia verso Napoli. Cesare Borgia aveva un particolarmente in odio sia i Colonna, fieri oppositori del padre, che il re Federico. Capua sembrava un’occasione d’oro per vendicarsi del re di Napoli e per punire i Colonna responsabili delle continue interferenze allo strapotere papale.
Dai bastioni Fabrizio Ridolfi riusciva a vedere il volto del Valentino: un volto orribile deturpato da quella malattia venerea che i Francesi chiamavano “male Italiano” e gli italiani “male Francese”. Ad un cenno del Duca, il Ridolfi assentì, gettò con decisione ciò che rimaneva della mela che stava mangiando, e si diresse verso gli uomini di guardia alla porta. Estrasse un pugnale e lo conficcò nella nuca di uno dei soldati che la presidiavano: era il segnale per l’inizio della strage; gli altri cinque uomini che lo seguivano, estrassero le spade e colpirono i restanti tre. Le grida degli uomini non riuscirono a raggiungere i soldati riuniti nella piazza, tanto erano distanti, e sulle mura non c’erano altri che gli uomini fedeli al Ridolfi. Le porte vennero aperte e nello stupore del D’Aubigny, gli uomini del Borgia si precipitarono all’interno con impeto ma in assoluto silenzio. Il Generale Francese gridò:
-Che succede? Chi vi ha dato l’ordine? Fermi!!- ma subito si accorse che anche i propri uomini si infilarono nel varco. In breve, chi per spirito di emulazione, chi per paura di non trovare nulla da saccheggiare, Francesi e Italiani irruppero nella città e iniziarono la strage. I colonnesi videro le forze nemiche avanzare dentro la città come l’ondata di un fiume in piena e non ebbero il tempo nè la presenza di spirito per reagire.
In poche ore più di duemila uomini vennero massacrati, le donne violentate e tutto ciò che poteva essere preso, finì nelle mani delle forze del Duca. Solo chi poteva garantire un riscatto venne tenuto in vita: I Fieramosca, il conte di Caiazzo, i due Colonna e pochi altri capitani. Il Borgia ebbe la meglio opponendo alla perizia e all’onestà dei suoi nemici, inganno e crudeltà.
Cesare entrò nell’ alloggio che era stato dei cugini Colonna e che ora era diventato la loro prigione. I due Erano guardati a vista da otto soldati .ed erano stati disarmati e spogliati delle armature che indossavano al momento della cattura. Quella di Prospero era lucida quasi da potersi specchiare e aveva degli intarsi in oro di eccellente fattura che lo rendevano sempre riconoscibile anche nelle fasi più convulse di una battaglia. Ora però giaceva in un angolo della stanza; Il duca si soffermò davanti a Prospero e sorrise soddisfatto. In quel momento gli si accostò il fedele Vitellozzo che guardò i due cugini, ma che non riuscì a sostenere lo sguardo fiero di Prospero. Il duca lo salvò dall’ imbarazzo del silenzio esclamando:
-Hai capito la quarta via?-
-L’inganno? – rispose il Vitelli, preferendo guardare il viso deturpato del Valentino che lo sguardo insostenibile del Colonna
- Inganno? Oh no! Che brutto termine- disse fingendo disappunto e continuò :
- Preferisco chiamarlo sotterfugio: e’ quell’ operato di intelligenza che ti permette di vincere le battaglie senza combattere, di sconfiggere il nemico senza perdere un uomo ed essere così pronto per un altro scontro già il giorno dopo. Il massimo risultato con il minimo sforzo.-
Il Borgia disse tutto ciò con la stessa calma e convinzione di un maestro che insegna ad un allievo. Era estremamente soddisfatto dei risultati conseguiti: aveva preso Capua, catturato i Colonna e ridotto all’impotenza Re Federico. Era riuscito anche a placare l’ira del Generale D’Aubigny. Il Francese, si era sentito scavalcato dalla decisione unilaterale del Borgia di usare dei traditori per entrare in città; visto che lui stesso aveva dato la propria parola ai Colonna che avrebbero avuto via libera per Napoli. Cesare, però ,lo placò sottolineando gli enormi guadagni che il saccheggio della città aveva fruttato.
Per se il Duca aveva riservato unicamente la soddisfazione della vendetta, la città di Capua, e il riscatto che i Colonna, e i Fieramosca avrebbero pagato per la propria liberta. Cesare Borgia uscì dall’alloggio con un ghigno di infinita soddisfazione che, insieme ai segni della malattia, donavano al viso un’aria malvagia. Si soffermò su un ballatoio che affacciava sulla città ,ammirando la sua più recente e meno faticosa conquista. Il ghigno si trasformò in risata. Eh si, quello era proprio un gran giorno!
Capua 22 Luglio 1501
La vista dal bastione era la stessa da cinque giorni: circa trentacinquemila uomini al comando del Generale Bernard D’Aubigny avevano posto il campo a circa un miglio dalle mura e stavano assediando la città. Il Capitano Prospero Colonna guardava preoccupato lo spettacolo imponente e cercava un punto debole nello schieramento nemico utile ad una sortita notturna.
-Capitano Colonna!-
Il grande Condottiero si girò di scatto, allarmato dal tono di voce di chi lo chiamava.
-Che succede?- rispose con voce talmente forte da arrivare chiaramente alla base del bastione.
-E’ arrivato un messo con una missiva per voi –
-Un messo? Buon dio! Come avrà fatto a passare oltre le forze Francesi?-
Il soldato rispose:
-Correva come se avesse l’inferno alle spalle. È entrato dalla porta che guarda a sud. Era inseguito, ma il Fieramosca ha fatto lanciare i balestrieri che hanno colpito un cavaliere Francese. Gli altri temendo per la vita, hanno desistito dall’inseguire.-
-Bene! Vengo a vedere – disse il Colonna accingendosi a scendere dal bastione.
Il messaggero era smontato da cavallo ed in ginocchio beveva da un vaso. Appena vide il Comandante del presidio si alzò in piedi e restituì il vaso ormai vuoto al soldato che gliel’aveva consegnato.
-Hai una lettera per me?- disse laconico il Colonna
-Ecco a lei Capitano- rispose ossequioso il soldato. Prospero prese la lettera e guardò con attenzione il messaggero; vide che era poco più che un ragazzo.
-Come ti chiami soldato?-
-Ubaldo Gregari , signore-
- Sei giovane! quanti anni hai?-
-Abbastanza per non farmi prendere dai Francesi, Capitano- rispose il ragazzo con orgoglio, e poi sorrise.
Prospero gli diede una pacca tra collo e spalla, poi diede ordine ad uno dei soldati di rifocillarlo. Lo osservò per un poco mentre, accompagnato dal soldato, si dirigeva verso le cucine con passo stanco, poi ruppe il sigillo e aprì la lettera.
Rimase impassibile, anche se l’ordine che era arrivato non gli piaceva affatto. Si diresse quindi verso quello che era diventato il quartier Generale e diede ordine di convocare i propri capitani.
Una volta arrivato nella stanza momentaneamente vuota, si sedette su una sedia di legno e rilesse la lettera come per essere sicuro degli ordini ricevuti. Di lì a poco arrivarono Il conte di Caiazzo, Ettore e Guido Fieramosca, Ettore Giovenale e Il cugino Fabrizio Colonna, Gran Connestabile del regno di Napoli. Prospero guardò il cugino e gli porse la lettera che aveva appena ricevuto. Nel silenzio Generale Fabrizio lesse con molta attenzione e con estrema sicurezza esclamò:
-Ci arrendiamo!- e rimase in silenzio a guardare i capitani. Dopo pochi secondi una serie di osservazioni tempestarono i Colonna, e il vociare divenne sempre più incomprensibile: si parlava di pazzia, di disonore, e tutti erano increduli di una simile scelta. Prospero allora prese la lettera del Re, dalle mani del cugino e la gettò sul tavolo.
-Ci dobbiamo arrendere, è un ordine del Re in persona!- tuonò.
Dopo una pausa riprese a parlare:
-Ordina di consegnare la città e di ritirarci a Napoli. Ha necessità di una forza militare intatta per difendersi dai baroni che gli sono ostili. Senza considerare poi la minaccia dei Turchi. L’ordine è chiaro e non va né discusso nè negoziato. Vi ho voluto avvertire per rispetto di come durante questi giorni mi avete servito e per come avete difeso le mura dall’assalto Francese. Avrei voluto permettervi più gloria, ma non è più possibile. Come sapete il mio intendimento era quello di costringerli ad un altro assalto o a smontare le tende e togliere l’assedio, ma dobbiamo attenerci a quanto ci è stato ordinato!-
-Proviamoci Capitano – disse uno dei Fieramosca.
-Non è negoziabile Messer Fieramosca. So che i suoi balestrieri farebbero strage dei Francesi, come so che il Capitano Giovenale, il vostro fratello Ettore, e tutti gli altri cavalieri, caricherebbero volentieri e a più riprese i Francesi, ma questi sono gli ordini. Sono figli di un calcolo politico che a noi non compete discutere.
Fabrizio riprese la parola:
- Domani mattina io, Prospero e il Conte di Caiazzo tratteremo i termini della resa. Per voi e per tutti i tremila difensori ci sarà la salvezza a Napoli.-
-Ma non ci sarà l’onore!- Rispose Ettore Fieramosca guardando con aria di sfida il Capitano. Prospero impassibile gli rispose:
-I vostri ventisei anni vi spingono all’azione, i miei quarantanove mi spingono alla ragione e all’obbedienza Capitano. Così sara!-
Fece un cenno di intesa a Fabrizio, che ricambiò, poi i due Colonna e il Conte di Caiazzo uscirono dalla stanza.
Il sole di luglio era alto nel cielo, e nel campo Francese la calura costringeva i più a rifugiarsi dentro i padiglioni. Fuori c’erano solo i soldati sufficienti per la guardia. L’atmosfera era funerea: la cocente sconfitta subita i giorni precedenti, aveva reso i soldati poco fiduciosi in una rapida soluzione dell’assedio. Le consistenti perdite subite, davano la certezza di dover attendere l’arrivo delle artiglierie per poter smantellare pezzo per pezzo le mura. Solo dopo il crollo dei bastioni l’assalto sarebbe stato possibile. Vitellozzo Vitelli, uomo di fiducia del Duca Valentino calpestava la terra ancora intrisa dal sangue dei feriti che solo tre giorni prima giacevano a centinaia in attesa delle cure dei medici. Vitellozzo zoppicava vistosamente colpito alla coscia da una delle tante “quadrella” che erano piovute sulle schiere Francesi. Il Vitelli era consapevole di essere stato fortunato: lui era stato ferito ad una gamba, gli altri tre comandanti dell’assalto avevano perso la vita crivellati dai dardi.
Vitellozzo entrò nella tenda del Duca dopo essersi annunciato a voce, trovandovi il Valentino in piedi e in procinto di indossare le vesti. Stesa sul giaciglio c’era una ragazza di neanche vent’anni: una delle tante prostitute al seguito degli eserciti in cerca di un occasione per sopravvivere.
-Si sono accordati Cesare- Disse il Vitelli non facendo caso più del dovuto alla presenza femminile.
Cesare Borgia, Duca di Gandìa e di Valentinois, ex cardinale e figlio del Papa Alessandro VI, fece cenno alla ragazza di uscire, attese il tempo necessario e poi rispose:
-Quali sono i termini?-
-D’Aubigny ha chiesto 80000 ducati, ma alla fine si sono accordati per la metà –
-Quarantamila ducati? Bene bravo D’Aubigny che giunge a patti senza interpellarmi. E a quando il lieto evento? –
-Domani nel primo pomeriggio si presenteranno alla porta principale con il denaro e noi lasceremo andare tutti gli uomini di Prospero Colonna.
Non torcemo un capello agli abitanti di Capua-
-Noi?- Rispose il Borgia alzando la voce :
-Io non ho preso accordi con nessuno! Non giungo a patti con i Colonna, - specie quando ho già in mano la città.-
-E allora? che volete fare Duca?-
-Ho due terzi delle forze ai miei ordini e non ho alcuna intenzione di lasciare al D’Aubigny una città che per accordi con il re di Francia doveva essere mia. Se le città non cadono con gli assalti, o non muoiono con gli assedi, come si fa?- Disse il Valentino con fare retorico
Con le artiglierie? – Rispose il Vitelli dubitando che la risposta potesse essere così semplice.
C’e una quarta via per prendere una città- Rispose il Duca con un sorriso enigmatico uscendo dalla tenda.
Fabrizio Ridolfi era l’ufficiale più alto in grado e in quel momento presidiava le mura. Ormai mancavano solo un paio di ore al momento della resa. Le forze colonnesi sarebbero uscite dalla porta che dava verso Sud, mentre i Francesi, con il D’Aubigny, sarebbero entrati dalla porta nord e avrebbero preso possesso della città in nome di Luigi XII re di Francia. Il Ridolfi osservava le forze Francesi che si avvicinavano alla porta. Oltre al D’Aubigny nelle prime file si trovava anche il Borgia in sella al proprio cavallo. Nella città le forze colonnesi si erano già radunate e attendevano solamente l’ordine di mettersi in marcia verso Napoli. Cesare Borgia aveva un particolarmente in odio sia i Colonna, fieri oppositori del padre, che il re Federico. Capua sembrava un’occasione d’oro per vendicarsi del re di Napoli e per punire i Colonna responsabili delle continue interferenze allo strapotere papale.
Dai bastioni Fabrizio Ridolfi riusciva a vedere il volto del Valentino: un volto orribile deturpato da quella malattia venerea che i Francesi chiamavano “male Italiano” e gli italiani “male Francese”. Ad un cenno del Duca, il Ridolfi assentì, gettò con decisione ciò che rimaneva della mela che stava mangiando, e si diresse verso gli uomini di guardia alla porta. Estrasse un pugnale e lo conficcò nella nuca di uno dei soldati che la presidiavano: era il segnale per l’inizio della strage; gli altri cinque uomini che lo seguivano, estrassero le spade e colpirono i restanti tre. Le grida degli uomini non riuscirono a raggiungere i soldati riuniti nella piazza, tanto erano distanti, e sulle mura non c’erano altri che gli uomini fedeli al Ridolfi. Le porte vennero aperte e nello stupore del D’Aubigny, gli uomini del Borgia si precipitarono all’interno con impeto ma in assoluto silenzio. Il Generale Francese gridò:
-Che succede? Chi vi ha dato l’ordine? Fermi!!- ma subito si accorse che anche i propri uomini si infilarono nel varco. In breve, chi per spirito di emulazione, chi per paura di non trovare nulla da saccheggiare, Francesi e Italiani irruppero nella città e iniziarono la strage. I colonnesi videro le forze nemiche avanzare dentro la città come l’ondata di un fiume in piena e non ebbero il tempo nè la presenza di spirito per reagire.
In poche ore più di duemila uomini vennero massacrati, le donne violentate e tutto ciò che poteva essere preso, finì nelle mani delle forze del Duca. Solo chi poteva garantire un riscatto venne tenuto in vita: I Fieramosca, il conte di Caiazzo, i due Colonna e pochi altri capitani. Il Borgia ebbe la meglio opponendo alla perizia e all’onestà dei suoi nemici, inganno e crudeltà.
Cesare entrò nell’ alloggio che era stato dei cugini Colonna e che ora era diventato la loro prigione. I due Erano guardati a vista da otto soldati .ed erano stati disarmati e spogliati delle armature che indossavano al momento della cattura. Quella di Prospero era lucida quasi da potersi specchiare e aveva degli intarsi in oro di eccellente fattura che lo rendevano sempre riconoscibile anche nelle fasi più convulse di una battaglia. Ora però giaceva in un angolo della stanza; Il duca si soffermò davanti a Prospero e sorrise soddisfatto. In quel momento gli si accostò il fedele Vitellozzo che guardò i due cugini, ma che non riuscì a sostenere lo sguardo fiero di Prospero. Il duca lo salvò dall’ imbarazzo del silenzio esclamando:
-Hai capito la quarta via?-
-L’inganno? – rispose il Vitelli, preferendo guardare il viso deturpato del Valentino che lo sguardo insostenibile del Colonna
- Inganno? Oh no! Che brutto termine- disse fingendo disappunto e continuò :
- Preferisco chiamarlo sotterfugio: e’ quell’ operato di intelligenza che ti permette di vincere le battaglie senza combattere, di sconfiggere il nemico senza perdere un uomo ed essere così pronto per un altro scontro già il giorno dopo. Il massimo risultato con il minimo sforzo.-
Il Borgia disse tutto ciò con la stessa calma e convinzione di un maestro che insegna ad un allievo. Era estremamente soddisfatto dei risultati conseguiti: aveva preso Capua, catturato i Colonna e ridotto all’impotenza Re Federico. Era riuscito anche a placare l’ira del Generale D’Aubigny. Il Francese, si era sentito scavalcato dalla decisione unilaterale del Borgia di usare dei traditori per entrare in città; visto che lui stesso aveva dato la propria parola ai Colonna che avrebbero avuto via libera per Napoli. Cesare, però ,lo placò sottolineando gli enormi guadagni che il saccheggio della città aveva fruttato.
Per se il Duca aveva riservato unicamente la soddisfazione della vendetta, la città di Capua, e il riscatto che i Colonna, e i Fieramosca avrebbero pagato per la propria liberta. Cesare Borgia uscì dall’alloggio con un ghigno di infinita soddisfazione che, insieme ai segni della malattia, donavano al viso un’aria malvagia. Si soffermò su un ballatoio che affacciava sulla città ,ammirando la sua più recente e meno faticosa conquista. Il ghigno si trasformò in risata. Eh si, quello era proprio un gran giorno!
mercoledì 20 agosto 2008
Il nostro futuro
Articolo (vero) del TgCom 20/08/2008
Figlio comunista tolto a madre
Tribunale Catania: gruppo di estremisti
Un adolescente catanese è stato tolto alla madre e affidato al padre perché è un militante di Rifondazione comunista. Polemiche per la decisione del Tribunale etneo che, tra le motivazioni del provvedimento, ha sottolineato l'appartenenza politica del ragazzo. Per i giudici e per gli assistenti sociali il 16enne frequenta un gruppo di "estremisti". Protesta la sinistra: "E' una caccia alla streghe".
La madre, racconta "Repubblica", secondo i giudici non saprebbe badare all'educazione del figlio. Il giovanotto in questione frequenta un luogo dove "è diffuso l'uso di sostanze alcoliche e psicotrope", vale a dire dove si beve alcol e si fumano spinelli. Il 16enne, racconta la donna, sotto pressione per la separazione tra i genitori, non andrebbe punito per quella che è una sua passione, la politica.Nell'ordinanza del Tribunale si rimprovera, di fatto, alla madre di non prendersi abbastanza cura del figlio. Come anche di aver nascosto al marito, a cui sarà affidato anche l'altro fratellino, le frequenti assenze del figlio maggiore a scuola e una serie "di mancati rientri a casa".
Articolo (finto) del TgCom del 20/08/2013
Liberato minorenne da tentativo di plagio
Tribunale Catania: gruppo di estremisti
Un piccolo, indifeso ragazzo di 16 anni, catanese, e’ stato tolto alla madre e affidato al buon papa’ perche’ rischiava di trasformarsi in un pericoloso terrorista. Le solite stupide e sterili polemiche per la decisione salomonica del Tribunale etneo che, tra le motivazioni del provvedimento, ha sottolineato la pericolosa appartenenza politica del ragazzo. Per i giudici e gli assistenti sociali la giovane creatura frequenta un gruppo di “estremisti”. Protestano i soliti rompicoglioni: “E’ una caccia alle streghe”.
La madre, racconta “Repubblica”, secondo i giudici non saprebbe badare all’educazione del figlio. Il giovanotto in questione frequenta un luogo dove “e’ diffuso l’uso di sostanze alcoliche e psicotrope”, vale a dire dove si beve alcol e si fumano spinelli. Il 16enne, racconta addirittura la donna, sotto pressione per la separazione dei genitori, non andrebbe punito per quella che e’ una sua passione, la politica.
Nell'ordinanza del Tribunale si rimprovera, di fatto, alla madre di non prendersi abbastanza cura del figlio. Come anche di aver nascosto al marito, a cui sarà affidato anche l'altro fratellino, le frequenti assenze del figlio maggiore a scuola e una serie "di mancati rientri a casa". Siamo alle solite: la pericolosissima cultura sinistroide italiana (ereditata da quel movimento eversivo di massa che era il ’68) tenta ogni giorno di condizionare i giovani del nostro paese adducendoli allo sballo e all’alterazione degli stati di coscienza. Non sarebbe invece meglio che rimanessero davanti alla TV tutto il giorno, tentando di apprendere direttamente dal seno della vita, il giusto e lo sbagliato del mondo? Non sarebbe invece meglio indurli, la domenica, a santificare le feste da buoni ed osservanti cristiani? Sara’ forse la tendenza anarcoide della gente del sud (terroni) che li porta ad allontanarsi dalla retta via? La risposta e’si a tutte le domande. Li vedete i ragazzi delle provincie Padane? Che non si drogano mai, Bevono solo succhi di frutta e passano le giornate a tentare di mettere in pratica tutto cio’ che dalla TV apprendono? Quelli si che sono dei ragazzi felici, sempre con il soldo in tasca pronti ad aiutare il prossimo facendogli fare un giro sulla loro macchina nuova e prestante, e sempre pronti a dare consigli su come apparire meglio e come essere piu’ furbi. Che rovina questo paese con i comunisti.
Figlio comunista tolto a madre
Tribunale Catania: gruppo di estremisti
Un adolescente catanese è stato tolto alla madre e affidato al padre perché è un militante di Rifondazione comunista. Polemiche per la decisione del Tribunale etneo che, tra le motivazioni del provvedimento, ha sottolineato l'appartenenza politica del ragazzo. Per i giudici e per gli assistenti sociali il 16enne frequenta un gruppo di "estremisti". Protesta la sinistra: "E' una caccia alla streghe".
La madre, racconta "Repubblica", secondo i giudici non saprebbe badare all'educazione del figlio. Il giovanotto in questione frequenta un luogo dove "è diffuso l'uso di sostanze alcoliche e psicotrope", vale a dire dove si beve alcol e si fumano spinelli. Il 16enne, racconta la donna, sotto pressione per la separazione tra i genitori, non andrebbe punito per quella che è una sua passione, la politica.Nell'ordinanza del Tribunale si rimprovera, di fatto, alla madre di non prendersi abbastanza cura del figlio. Come anche di aver nascosto al marito, a cui sarà affidato anche l'altro fratellino, le frequenti assenze del figlio maggiore a scuola e una serie "di mancati rientri a casa".
Articolo (finto) del TgCom del 20/08/2013
Liberato minorenne da tentativo di plagio
Tribunale Catania: gruppo di estremisti
Un piccolo, indifeso ragazzo di 16 anni, catanese, e’ stato tolto alla madre e affidato al buon papa’ perche’ rischiava di trasformarsi in un pericoloso terrorista. Le solite stupide e sterili polemiche per la decisione salomonica del Tribunale etneo che, tra le motivazioni del provvedimento, ha sottolineato la pericolosa appartenenza politica del ragazzo. Per i giudici e gli assistenti sociali la giovane creatura frequenta un gruppo di “estremisti”. Protestano i soliti rompicoglioni: “E’ una caccia alle streghe”.
La madre, racconta “Repubblica”, secondo i giudici non saprebbe badare all’educazione del figlio. Il giovanotto in questione frequenta un luogo dove “e’ diffuso l’uso di sostanze alcoliche e psicotrope”, vale a dire dove si beve alcol e si fumano spinelli. Il 16enne, racconta addirittura la donna, sotto pressione per la separazione dei genitori, non andrebbe punito per quella che e’ una sua passione, la politica.
Nell'ordinanza del Tribunale si rimprovera, di fatto, alla madre di non prendersi abbastanza cura del figlio. Come anche di aver nascosto al marito, a cui sarà affidato anche l'altro fratellino, le frequenti assenze del figlio maggiore a scuola e una serie "di mancati rientri a casa". Siamo alle solite: la pericolosissima cultura sinistroide italiana (ereditata da quel movimento eversivo di massa che era il ’68) tenta ogni giorno di condizionare i giovani del nostro paese adducendoli allo sballo e all’alterazione degli stati di coscienza. Non sarebbe invece meglio che rimanessero davanti alla TV tutto il giorno, tentando di apprendere direttamente dal seno della vita, il giusto e lo sbagliato del mondo? Non sarebbe invece meglio indurli, la domenica, a santificare le feste da buoni ed osservanti cristiani? Sara’ forse la tendenza anarcoide della gente del sud (terroni) che li porta ad allontanarsi dalla retta via? La risposta e’si a tutte le domande. Li vedete i ragazzi delle provincie Padane? Che non si drogano mai, Bevono solo succhi di frutta e passano le giornate a tentare di mettere in pratica tutto cio’ che dalla TV apprendono? Quelli si che sono dei ragazzi felici, sempre con il soldo in tasca pronti ad aiutare il prossimo facendogli fare un giro sulla loro macchina nuova e prestante, e sempre pronti a dare consigli su come apparire meglio e come essere piu’ furbi. Che rovina questo paese con i comunisti.
lunedì 28 aprile 2008
Il Viaggio di Raimondo
Si! lo so!
Sono stato parecchio assente. Purtroppo tra gli impegni di lavoro, la pubblicazione del mio primo romanzo e la scrittura del secondo (degno seguito del primo), ho avuto le giornate un pò piene. Finalmente riprendo a scrivere.
Scrivo per avvertirvi che dai primi di maggio sarà disponibile nelle librerie IL VIAGGIO DI RAIMONDO, il mio romanzo. Non so se lo troverete sugli scaffali, comunque non vi preoccupate potete sempre ordinarlo. Per qualsiasi problema non esitate a contattarmi.
P.S. cliccate sul titolo del post!!!
Sono stato parecchio assente. Purtroppo tra gli impegni di lavoro, la pubblicazione del mio primo romanzo e la scrittura del secondo (degno seguito del primo), ho avuto le giornate un pò piene. Finalmente riprendo a scrivere.
Scrivo per avvertirvi che dai primi di maggio sarà disponibile nelle librerie IL VIAGGIO DI RAIMONDO, il mio romanzo. Non so se lo troverete sugli scaffali, comunque non vi preoccupate potete sempre ordinarlo. Per qualsiasi problema non esitate a contattarmi.
P.S. cliccate sul titolo del post!!!
martedì 22 gennaio 2008
Il primo inverno di Magdeline
Di Fabio Bertinetti
Tre
....Rimase fuori del negozio, solo alcuni minuti, quando una moto salì sul marciapiede e le si avvicinò. Era Giuseppe il suo datore di lavoro. Si tolse il casco, si pettinò i capelli e sfoderò un sorriso sincero.
-Ciao Magdeline come stai? E’ andato bene il tragitto in Metro?-
-Tutto bene grazie, solo un po’ di freddo. Sai, non ci sono molto abituata-
Giuseppe si attardava ad alzare la saracinesca. Era lì e guardava Magdeline con aria rapita. Ne osservava la pelle mulatta e gli occhi neri e profondi. Ne ammirava i capelli corvini e la bocca carnosa. Magdeline aveva visto tante altre volte quello sguardo posarsi su di se, e sapeva perfettamente che lui l’aveva desiderata ardentemente dal primo momento in cui l’aveva vista.
L’appuntamento con Adilec era al Parque Céspedes, di fronte alla cattedrale. Mauro era partito da un paio di mesi, ma i soldi continuava ad inviarli. Era bellissimo per Magdeline sentirsi padrona nella propria città. Padrona di uscire con le amiche, sedersi al tavolino di un bar e consumare un aperitivo, o una bottiglia di cerveza Cristal senza rendere conto a nessuno. Senza dover per forza essere accompagnata da uno straniero che le offrisse quei momenti di libertà. Anche la sua amica Adilec aveva qualcosa da raccontarle,e forse si trattava della stessa bella notizia che aveva lei: era in attesa dell’invitacion, l’invito ufficiale presentato al ministero degli esteri Italiano per permettergli di passare tre mesi in quel paese. Adilec arrivò con alcuni minuti di ritardo e quando si incontrarono le due amiche si sorrisero e si abbracciarono. Salirono le scalinate del bar e si sedettero sulla terrazza che guardava verso il parco e la cattedrale. Adilec ordinò una Cristal, mentre Magdeline preferì consumare una birra più forte:
-Una Bucanero por favor- disse al cameriere con l’aria della donna vissuta. Parlarono a lungo le due ragazze e appresero di essere entrambe in attesa delle formalità burocratiche e del pagamento della cauzione che Mauro e Luigi avrebbero dovuto versare. Non sarebbero andate in città vicine, ma forse il periodo di partenza era lo stesso e con un po’ di fortuna avrebbero potuto incontrarsi anche in Italia. Il pomeriggio era caldo e assolato e in compagnia di un’amica come Adilec, il tempo sembrava non finire mai. Le birre divennero due e poi quattro, e ogni volta il cameriere chiedeva i soldi per la consumazione appena servita. Magdeline con estrema naturalezza estraeva i dollari dalla borsa e li porgeva al cameriere, il tutto senza smettere di parlare e continuando a guardare la propria amica. Il movimento di denaro non passò inosservato ad un poliziotto seduto poco lontano. Magdeline sapeva che a Cuba c’è un poliziotto in ogni bar o in ogni albergo, e sapeva anche che le ragazze trovate in possesso di dollari, rischiavano di essere arrestate per prostituzione, ma si lasciò trasportare dalla gioia e si lasciò fuorviare dalla tolleranza che il regime sembrava mostrare da qualche mese. Fu come una doccia gelata quando il poliziotto si avvicinò e chiese ad entrambi i documenti.
-El carnet!- Disse laconico il poliziotto, ed entrambe fornirono i documenti
-Che succede?- chiese Magdeline, mentre la sua Amica era zittita dalla paura
-Succede che voi non potete stare qui – Disse il poliziotto
-E perché no? Ci sono stata altre volte qui!-
-Oggi non potete!-
-E mi deve spiegare il perchè- rispose ancora la più intraprendente delle due
-Io non ti devo spiegare nulla. Tu non puoi stare qui e non puoi avere tutti quei soldi. Puttana!-
-I soldi me li manda il mio fidanzato dall’Italia perché ho ricevuto un invito. E anche la mia amica-
-Allora fatemi vedere gli inviti-
-Non ce li abbiamo qui, mica dobbiamo portarli appresso--E allora venite con me!- Nel dire ciò il poliziotto afferrò il braccio di Adilec mentre altri due suoi colleghi che erano giunti nel frattempo, si avvicinarono a Magdeline. Adilec fece resitenza e il poliziotto ci mise tutta la sua forza per portarla con se. Adilec gridò di dolore nel sentire la morsa di quell’omone stringergli il polso. Magdeline non si rese conto che altri poliziotti le si stavano avvicinando. Prese la bottiglia di Bucanero e colpì violentemente il poliziotto. Il colpo fù inaspettato e preciso. La bottiglia si spaccò sul viso del poliziotto, che cadde a terra sanguinante. In breve Mgdeline si trovò sbattuta a terra dagli altri due sbirri mentre Adilec scoppiò a piangere.
Tre
....Rimase fuori del negozio, solo alcuni minuti, quando una moto salì sul marciapiede e le si avvicinò. Era Giuseppe il suo datore di lavoro. Si tolse il casco, si pettinò i capelli e sfoderò un sorriso sincero.
-Ciao Magdeline come stai? E’ andato bene il tragitto in Metro?-
-Tutto bene grazie, solo un po’ di freddo. Sai, non ci sono molto abituata-
Giuseppe si attardava ad alzare la saracinesca. Era lì e guardava Magdeline con aria rapita. Ne osservava la pelle mulatta e gli occhi neri e profondi. Ne ammirava i capelli corvini e la bocca carnosa. Magdeline aveva visto tante altre volte quello sguardo posarsi su di se, e sapeva perfettamente che lui l’aveva desiderata ardentemente dal primo momento in cui l’aveva vista.
L’appuntamento con Adilec era al Parque Céspedes, di fronte alla cattedrale. Mauro era partito da un paio di mesi, ma i soldi continuava ad inviarli. Era bellissimo per Magdeline sentirsi padrona nella propria città. Padrona di uscire con le amiche, sedersi al tavolino di un bar e consumare un aperitivo, o una bottiglia di cerveza Cristal senza rendere conto a nessuno. Senza dover per forza essere accompagnata da uno straniero che le offrisse quei momenti di libertà. Anche la sua amica Adilec aveva qualcosa da raccontarle,e forse si trattava della stessa bella notizia che aveva lei: era in attesa dell’invitacion, l’invito ufficiale presentato al ministero degli esteri Italiano per permettergli di passare tre mesi in quel paese. Adilec arrivò con alcuni minuti di ritardo e quando si incontrarono le due amiche si sorrisero e si abbracciarono. Salirono le scalinate del bar e si sedettero sulla terrazza che guardava verso il parco e la cattedrale. Adilec ordinò una Cristal, mentre Magdeline preferì consumare una birra più forte:
-Una Bucanero por favor- disse al cameriere con l’aria della donna vissuta. Parlarono a lungo le due ragazze e appresero di essere entrambe in attesa delle formalità burocratiche e del pagamento della cauzione che Mauro e Luigi avrebbero dovuto versare. Non sarebbero andate in città vicine, ma forse il periodo di partenza era lo stesso e con un po’ di fortuna avrebbero potuto incontrarsi anche in Italia. Il pomeriggio era caldo e assolato e in compagnia di un’amica come Adilec, il tempo sembrava non finire mai. Le birre divennero due e poi quattro, e ogni volta il cameriere chiedeva i soldi per la consumazione appena servita. Magdeline con estrema naturalezza estraeva i dollari dalla borsa e li porgeva al cameriere, il tutto senza smettere di parlare e continuando a guardare la propria amica. Il movimento di denaro non passò inosservato ad un poliziotto seduto poco lontano. Magdeline sapeva che a Cuba c’è un poliziotto in ogni bar o in ogni albergo, e sapeva anche che le ragazze trovate in possesso di dollari, rischiavano di essere arrestate per prostituzione, ma si lasciò trasportare dalla gioia e si lasciò fuorviare dalla tolleranza che il regime sembrava mostrare da qualche mese. Fu come una doccia gelata quando il poliziotto si avvicinò e chiese ad entrambi i documenti.
-El carnet!- Disse laconico il poliziotto, ed entrambe fornirono i documenti
-Che succede?- chiese Magdeline, mentre la sua Amica era zittita dalla paura
-Succede che voi non potete stare qui – Disse il poliziotto
-E perché no? Ci sono stata altre volte qui!-
-Oggi non potete!-
-E mi deve spiegare il perchè- rispose ancora la più intraprendente delle due
-Io non ti devo spiegare nulla. Tu non puoi stare qui e non puoi avere tutti quei soldi. Puttana!-
-I soldi me li manda il mio fidanzato dall’Italia perché ho ricevuto un invito. E anche la mia amica-
-Allora fatemi vedere gli inviti-
-Non ce li abbiamo qui, mica dobbiamo portarli appresso--E allora venite con me!- Nel dire ciò il poliziotto afferrò il braccio di Adilec mentre altri due suoi colleghi che erano giunti nel frattempo, si avvicinarono a Magdeline. Adilec fece resitenza e il poliziotto ci mise tutta la sua forza per portarla con se. Adilec gridò di dolore nel sentire la morsa di quell’omone stringergli il polso. Magdeline non si rese conto che altri poliziotti le si stavano avvicinando. Prese la bottiglia di Bucanero e colpì violentemente il poliziotto. Il colpo fù inaspettato e preciso. La bottiglia si spaccò sul viso del poliziotto, che cadde a terra sanguinante. In breve Mgdeline si trovò sbattuta a terra dagli altri due sbirri mentre Adilec scoppiò a piangere.
lunedì 7 gennaio 2008
Il primo inverno di Magdeline
Di Fabio Bertinetti
Due
.......Arrivò alla fermata e scese dalla metro seguendo il fiume di gente che si recava al lavoro. Appena in strada venne investita da un vento gelido che, come uno schiaffo, la scosse dal torpore della mattina. Aveva vissuto altri Dicembre la bella Magdeline ma questo era il suo primo inverno.
La macchina rossa percorreva ad alta velocità il tragitto che separava Santiago de Cuba da El Cobre. Bisognava affrettarsi per evitare di giungere oltre l’orario di chiusura. Junior guidava con perizia riuscendo a tenere alta la concentrazione, Marco era un po’ teso ed ogni volta che si incrociava un’altra vettura sulla stretta strada sterrata, si irrigidiva sul sedile tenendosi ben saldo alla maniglia sopra lo sportello. Come tutti gli Italiani lo fregava la presunzione di essere dannatamente bravo al volante, e il pensiero che un Cubano stesse guidando ad alta velocità su una strada da schifo gli provocava un po’ di paura e un po’ di invidia. L’aria era tesa dentro la vettura e nessuno condivideva le proprie preoccupazioni. Magdeline continuava ad incoraggiare Junior a premere l’accelleratore; era importantissimo che si arrivasse in tempo al santuario. Il guidatore era abbastanza impegnato con la strada da non avere altri pensieri, se non il fastidio di Maye che continuava ad urlare. Marco non capiva molto di quello che stesse succedendo, ed oltre alla guida sportiva di Junior, era l’inconsapevolezza a renderlo nervoso. La zia Luisa, infine ,era silente dall’uscita della chiesa e la sua era più un’espressione preoccupata che non emozionata. La mattinata era passata tranquilla e fino al momento in cui non si presentò alla Consultoria Juridica con il vestito da sposa, Magdeline non si sentiva per nulla emozionata. D’improvviso davanti al portone i mesi di tensione e le vicissitudini passate fecero sentire il loro peso portandola ad uno stato di agitazione che perdurò per tutta la cerimonia. Ancora pochi minuti e sarebbe finito tutto. Junior si era infilato tra i banchi di legno che vendevano i souvenirs della Virgen e il monastero era ormai apparso a pochi metri di distanza. Non si parcheggiò neppure. Le portiere dell’auto sembrarono esplodere e Magdeline fu la prima ad uscire, nonostante l’ingombro del velo, seguita dalla zia e da tutti gli altri. La scalinata di pietra bianca venne percorsa in un sorso, poi all’entrata la custode nicchiò alquanto data l’ora di chiusura che si avvicinava.
-“Dobbiamo solo consegnare questo alla Virgen” disse Magdeline mostrando il bouquet da sposa. Marco, che ormai aveva capito il meccanismo, allungo due dollari e tutto si risolse.
Arrivò in anticipo davanti al negozio. Era il suo primo giorno di lavoro e non avrebbe fatto tardi per nessun motivo. La tensione per l’evento le portò alla mente la corsa pazza e frenetica fatta a Cuba per portare il bouquet da sposa alla Virgen de la Caridad di El Cobre patrona dell’isola. Era poco più che una ragazzina quando fece il voto di tale dono se, un giorno si fosse sposata con uno straniero. Il desiderio si era avverato proprio quando tutto sembrava perduto e ora si trovava in una città grande e piena di opportunità per vivere dignitosamente. Al freddo però doveva ancora abituarsi....
giovedì 3 gennaio 2008
Il primo inverno di Magdeline
di Fabio Bertinetti
Uno
Il sussulto ritmato prodotto dai binari della ferrovia, aveva per Magdeline un’ effetto rilassante, quasi soporifero. Il fatto che il viaggio da Termini ad Ottaviano durasse si e no 5 minuti le impediva di addormentarsi. Era riuscita a trovare un posto a sedere, bene raro e prezioso nei vagoni della metro in ora di punta, e per una volta avrebbe sperato che il tragitto potesse essere più lungo del solito. Chiuse gli occhi e tentò quanto meno di sognare.
La spiaggia non ricordava neppure come si chiamasse, però non era la prima volta che riusciva a convincere il suo “fidanzato” di turno a farsi accompagnare. Le ricordava i giorni felici dell’infanzia, quando con una carissima zia passò dei bellissimi giorni di vacanza a Baracoa. Forse era stata la sua prima vacanza e certamente era stata anche l’ultima. La zia Luisa non era così ricca da portarla in un’altra città per una settimana, aveva solo preso al volo l’occasione. Dovendo accudire una delle sue sorelle aveva scelto la piccola Magdeline orfana di madre e, sostanzialmente, anche di padre, per regalarle dei ricordi che sarebbero rimasti indelebili. La ragazza Magdeline, quindi, approfittava dei suoi fidanzati temporanei per farsi portare alcuni giorni in quella piccola città dove ancora vi è una statua di Cristoforo Colombo e dove venne fondata la prima colonia Spagnola in Cuba nel 1498. Aveva più di cinquecento anni la piccola cittadina e ancora conservava il suo sapore antico e coloniale. Il suo ragazzo rimase allibito dallo spettacolo che vide una volta giunto in spiaggia. Sabbia bianca e fine che sembrava sale, mare azzurro e cristallino e solitudine per chilometri quadrati. Rimasero tutta la mattina e tutto il pomeriggio sdraiati sulla sabbia a parlare e raccontarsi progetti di vita. Non era convinta che Mauro dicesse la verità, in fin dei conti quanti altri uomini l’avevano illusa? Non era assolutamente certa che sarebbe venuta in Italia. Gli stranieri erano persone simpatiche, generose ma decisamente strane. Non riuscivano a pensare se non con il loro metro, con i loro punti di vista. Sapevano tutti che a Cuba c’era la fame e la povertà, però nelle piccole cose tendevano a dimenticarlo. Magdeline ricordava ancora di quella volta che, mentre era al ristorante con un’ altro dei suoi fidanzati Italiani, diede da mangiare un coscio di pollo ad un cane magrissimo e con gli occhi tristi di fame e dolore. Si sentì felice di condividere quel pezzo di benessere con quella bestia, ma il suo ragazzo le disse:
-Ma che sei matta?-
-Matta? E di che? Se ti da fastidio che do da mangiare al cane te lo pago io il coscio di pollo. Ho ancora i soldi che mi hai dato ieri-
-Ma no! Che dici Maye! È solo che al cane fa male il pollo-
-Fa male il pollo? Estas loco?-
-Gli fanno male le ossa del pollo, los Huesos del Pollo. Rischiano di andargli di traverso. Va Estrangularse, si strozza!-
-Mi amor!- Disse Magdeline sporgendosi sul tavolo e guardando il ragazzo negli occhi
-Sabes que este perro si no muere de pollo, muere de ambre¹-
Il ragazzo rimase in silenzio. Magdeline non riusciva a capire come mai per quanto simpatici, intelligenti e di cultura, gli Italiani non riuscissero ad elaborare simili processi mentali... (SEGUE)
¹ “Sappi che questo cane se non muore di pollo, muore di fame”
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