domenica 17 gennaio 2010

Intervista con la storia (3)

La controrivoluzione

di Raimondo Farese


  Ancora una volta mi sono svegliato nel ventunesimo secolo. Per me è come vivere in uno di quei romanzi che oggi definite "di fantascenza". E' curioso pensare come ciò che per me è fantascenza, per voi sia storia. Seguendo me nel vostro tempo, ascoltate le voci del passato, della storia. Vivendo, io, il vostro presente, ho l'esperienza futura che voi vorreste vivere. Che voi, probabilmente, non vivrete mai. Da quando sono stato evocato dal quello splendido prodigio che voi chiamate "romanzo" ho avuto modo di vedere a cosa porteranno le scelte e le azioni del mio tempo. Da quando sono qui, con voi, ho avuto la possibilità di ammirare le macchine e le scoperte che hanno portato delle enormi rivoluzioni nel modo di vivere. Ho già avuto modo di sottolineare come, le vostre menti e le vostre coscenze siano rimaste le stesse di cinquecento anni fa. Ho già avuto modo di accorgermi come i meccanismi distorti del potere, riescano a governarvi nonostante la vostra istruzione e il vostro studio della storia. Un giorno tornerò nel mio tempo. Non so tra quanto. Non so come, ma succederà. Quando il mio autore deciderà di farmi morire io lascerò questo mondo grazie ad un prodigio simile a quello che mi ci ha fatto comparire. Spero solo che, nel frattempo, avrò lasciato qualcosa. Un dubbio, un idea. Per ora mi godo il futuro, un tempo che mai avrei pensato di vivere e che mai avrei pensato fosse così.
   Nelle mie giornate di solitudine, quando il mio autore è fuori al lavoro, mi trovo in compagnia di un piccolo cane e leggo quanto più possibile. Non sono tangibile. Non sono di carne ed ossa. Non posso uscire di casa se non insieme al mio creatore, non posso interloquire con altri che con lui. Forse l'unico altro essere che può vedermi o sentirmi è quel sensibilissimo amico a quattro zampe che si chiama Ulisse. Quando egli è sul tappeto, in posizione di guardia, veglia sulla mia astrattezza e mi permette di non sentirmi solo mentre leggo libri. Ho appreso che la storia è fatta di rivoluzioni. Tante, sopratutto dopo il mio tempo. Rivoluzioni. Squilibri improvvisi che lacerano il potere minacciandone l'autorità. Squilibri lancinanti che sfuggono al controllo di chi li ha provocati e che vengono seguiti da controrivoluzioni che livellano. Controrivoluzione. E' poco che ho imparato questo termine. Non propriamente cinquecentesco. Non assolutamente consono alla mia persona, alla mia storia. Interessante. La controrivoluzione è sempre culturale, è un influenza delle masse ed è prolungata nel tempo. La controrivoluzione è tanto più efficace quanto è subdola e soave, è tanto più efficace quanto è delicata e piacevole. La controrivoluzione è urla e carezze, è bastone e carota. La controrivoluzione è la vostra Televisione. Di questo oggi vorrei parlare. Le masse e la necessità di un loro controllo. Le masse e la necessità di influenzarle creando paure e sicurezze. Bastone e carota. Ancora una volta. Il messaggio è:

"questo è il pericolo, questa è la soluzione. Anche se drastica è necessaria. Non c'è tempo di discutere, non c'è tempo di votare. I fatti ci vogliono non le parole. Non vi fidate di chi contesta, di chi dice che le cose non vanno. Mentono. Invidiosi. Poveri e invidiosi. I giudici, i contestatori, i giustizialisti, i fanatici, i critici, gli anti-Italiani, i violenti. Sono tutte persone che complottano contro il potere, contro la capacità di fare e risolvere, contro il pensiero unico".

  Questi sono i principi della controrivoluzione, gli stessi da anni, i medesimi per ogni nazione e per ogni ceto sociale. Il potere ricerca e combatte "L'eresia" sempre e comunque. La auspica, la provoca, forse la crea anche, perchè demonizzare un'idea è l'unico modo per combatterla. Farla uscire dal sentiero del conforme è il primo passo per distruggerla. Utopia ed eresia sono le giustificazioni per derogare alle regole, per riformare le leggi. La controrivoluzione è la strategia per allungare la vita al potere. In questo paese state sperimentando l'utilizzo della televisione come mezzo per revisionare la storia recente, per creare dei falsi storici. L'Italia è il campo di battaglia per delle guerre future. Proprio come nel cinquecento.



Raimondo

martedì 5 gennaio 2010

Il Primo inverno di Magdeline (sette)

di Fabio Bertinetti


“La consapevolezza è la migliore delle medicine”. Questo andava ripetendo Marco. Da quando pochi giorni prima aveva ricevuto la telefonata di Giuseppe, non faceva altro che ripeterselo. Erano passati mesi da quando Magdeline se n’era andata. Molti mesi. Le ferite facevano sempre meno male. Se non altro c’era la voglia di ricominciare, se non altro vi era la certezza che il mondo fosse ancora in piedi e scaldato dal sole.


- Pronto Marco? Ciao sono Giuseppe-… silenzio..
- il principale di Magdeline- ….silenzio…
-come stai-?
-Bene- rispose Marco laconico
-Ho pensato molto a te in questi giorni- riprese subito Giuseppe, poi continuò tutto d’un fiato
-Ho pensato che dovevo chiamarti, che dovevo parlarti. Come forse avrai immaginato io e Magdeline abbiamo avuto una storia. Mi sento così male a dirtelo, a raccontarti tutto, ma sento di dovertelo. In fin dei conti sono io la causa della rottura del vostro rapporto, del vostro matrimonio. Ora non stiamo più insieme. Ci siamo lasciati. Mi sono accorto che è una gran bugiarda ed improvvisamente mi sono reso conto di esser stato ripagato con la stessa moneta con la quale eri stato pagato tu: la menzogna. Lo so che sembra strano, ma avrei voglia di incontrarti e parlare con te. Non mi interessa se mi metterai le mani addosso, so che è un rischio. Se vuoi puoi anche spaccarmi la faccia, ma ho bisogno di parlare con te. Vuoi?-
Giuseppe aveva espresso il concetto rapidamente e con tono isterico. Probabilmente si era tolto un gran peso dalla coscienza. Marco, invece, non aveva proferito parola in quei pochi secondi. Era lì immobile sul ponte della barca che ascoltava incredulo. La verità gli fu lanciata addosso con violenza e lo colpì con lo stesso effetto di una cinghiata. Bruciore. La testa si era fatta leggera e sembrava gli girasse ancora. Rispose:
-Adesso non sono a Roma. Sono in vacanza all’isola d’Elba. Abbiamo affittato una barca con gli amici. Sentiamoci la settimana prossima.- Poi riattaccò.

Il ricordo di quella conversazione sparì d’improvviso, così come era venuto. L’appuntamento era in una pizzeria. Una pizza ed una birra, come due vecchi amici. S’incontrarono. La scena sembrava surreale. Marco non capiva chi dei due fosse più matto, o chi dei due avesse meno dignità. “No io no!” disse tra sé. “Io devo solo capire, comprendere”. La conversazione iniziò di colpo, così come succede quando si toglie un dente a casa. Nessun dentista, nessuno strumento, solo un colpo secco del filo di cotone ed il dente, traballante, viene via. Il colpo secco lo diede Marco:

-Allora? Quando è cominciato?-
-Subito!- rispose prontamente l’altro. Ed iniziò a raccontare:


Quella ragazza gli faceva ribollire il sangue. Viso bellissimo, mani lunghe e affusolate, sorriso bianco e lucente, occhi neri, profondi come un pozzo. Un pozzo di sensualità ed erotismo. Era con lui da pochi giorni, ma già vi era confidenza. Aveva preso a scherzare con tutti, anche con la sua ragazza. Sono sembrate subito amiche. Ora era lì nello scantinato del negozio per mettere a posto rotoli di tessuti, coperte e piumini. Era novembre, ed era un inverno molto freddo. Era volenterosa e lavoratrice quella ragazza, quella Magdeline. Volenterosa e seducente. Giuseppe scese nello scantinato e la trovò alle prese con la polvere e con gli scaffali. Era l’ora di pranzo. Il negozio chiuso. Le mani della ragazza nere di sporcizia e i pantaloni, bassi sulla vita, erano scivolati in basso con la complicità di un rapido dimagrimento.

-Ma sei a dieta?- disse lui
-Un poco si!- rispose lei tenendo le mani in alto per non sporcarsi.
-Ma guarda che non ne hai bisogno.- Rispose lui guardandola negli occhi. Magdeline sorrise. Giuseppe anche. Le mani, sempre ben alzate, ruotarono. Ora le dita erano verso il basso ad indicare i pantaloni.
-Me li tiri su te? Ho le mani tutte sporche.- le chiese Magdeline. Giuseppe si avvicinò e le tirò su i pantaloni. Le bocche si erano avvicinate. Troppo. Si incontrarono, si mangiarono, si consumarono in un bacio lunghissimo. Lei poi gli abbassò i pantaloni ed iniziò a succhiarglielo. Molto lentamente, come sapeva fare lei. Con molta perizia, con molto trasporto e passione. Lo guardava mentre gli spalancava la porta dei sensi. Giuseppe resistette un poco, poi l’orgasmo esplose il suo umore. Lei lo accolse sul petto.


Marco trasalì nel vedere l’immagine di quel rapporto adultero, così profondamente “sporco ed eccessivo”. Non era solo una scopata, ma qualcosa di più. Marco pensò ad una profanazione e ricordò la sera in cui, avvicinandosi a lei, sentì un odore pungente, un odore di uomo provenire da Lei.

-Ma cos’e quest’odore?-
-Odore? Che odore? – disse lei infilandosi sotto la doccia. Marco lo aveva riconosciuto, quel pungente ed invasivo odore di sperma. Lei lo chiamò da sotto la doccia. Lo fece entrare e fecero l’amore. In quel frangente, ancora una volta la consapevolezza di Marco venne soffocata dall’erotismo di lei. Ora Giuseppe la rendeva viva con il suo racconto.