lunedì 14 dicembre 2009

Il grande piano?

Ogni riferimento a fatti, cose o persone e’ puramente casuale. Il racconto e’ frutto esclusivo della fantasia malata dell’autore.



Il Presidente

di Fabio Bertinetti

Gianni si avvicino’ alla porta. Per un momento esito’, quindi si fece coraggio e busso’. Il lungo corridoio era vuoto. Gli uomini della sicurezza sapevano far bene il proprio lavoro, quando volevano. Il suono rimbombo’ nell’ampio spazio privato della presenza umana.
-Avanti!- Rispose una voce dall’altra parte. Gianni sospiro’ ed entro’ nella stanza.
-Presidente, e’ permesso?- ribadi’ con reverenza il visitatore
-Lo vedi? Lo vedi cosa e’ successo?- Disse il Presidente disteso sul letto
-Presidente, e’ stato un errore!-
-Non me ne frega un cazzo! Lo vedi cosa e’ successo?- Ribadi’ l’importante personaggio, indicando il proprio volto sfigurato.
-lo vedo, e ne sono rammaricato! Gli era stato detto di non esagerare, ma sa! Effettivamente e’ un po’ toccato- rispose Gianni picchettandosi la tempia con il dito
-Mi ha colpito in pieno! Mi ha devastato la faccia! Non dategli un Euro. E non dategli il lavoro che gli abbiamo promesso!-
-Presidente, non penso sia cosi’ semplice. Potrebbe avere dei risentimenti ed essere un problema in futuro.-
-Si ma lo vedi cosa mi ha fatto?- continuo’ inviperito il Presidente. Gianni non rispose, si rese conto che in quel momento il suo interlocutore era emotivamente instabile. Non sarebbe stato in grado di comprendere dei percorsi logici. Cambio’ discorso
-E’ stato dato ampio risalto a quanto e’ accaduto Presidente!-
-Bene! Almeno e’ servito a qualcosa. Speriamo che non succeda come l’altra volta, che poi ho perso le elezioni regionali. Forse lo sbaglio e’ stato provvidenziale!-
-Questa volta riusciamo ad ottenere piu’ risultati, Presidente! Oltre al fatto che tra qualche mese ci saranno le elezioni, bisogna considerare il consenso che otterremo nel “blindare” internet. I segnali di pericolo messi in giro nelle precedenti settimane ora trovano riscontro. Questa volta il piano e’ stato piu’ strutturato. Certo che l’esser stato colpito la ha messa seriamente in pericolo. Me ne rammarico nuovamente.-
-Speriamo sia l’ultima volta che siamo costretti a ricorrere a questi stratagemmi. Qualcuno di quei rompicoglioni che mi tampinano potrebbe notare le “coincidenze”.-
-Siamo in grado di delegittimarli! Non si preoccupi abbiamo la possibilita’ di scavare nel passato di chiunque e zittirlo!-
-Speriamo bene. Speriamo che nessuno noti che il periodo delle aggressioni era lo stesso. Speriamo che nessuno noti la vicinanza delle elezioni regionali. E speriamo che nessuno sottolinei la scarsa efficacia della scorta. Mi raccomando, questo e’ il nostro prossimo obiettivo. Vigilate!-
-Forse sarebbe il caso di cambiare qualcuno della scorta Presidente. Il fatto che ci siano uomini che la seguono da anni, nonostante abbiano gia commesso errori, puo’ insospettire-
-Sono d’accordo. Se ne occupi lei. E’ ora di “svecchiare gli uomini”-
-Non si preoccupi Presidente. Ora pensi solo a guarire-
Il presidente fece un cenno con la mano, in segno di saluto. Gianni usci’ dalla stanza di ospedale.

Sospiro’ ricordando i tempi in cui la politica non era cosi’. Non somigliava tutto ad reality show. Meno male che le telecamere delle reti nazionali si erano ben guardate dall’inquadrare il pubblico. La piazza era semideserta. Se non ci fosse stata quell’aggressione forse qualcuno se ne sarebbe accorto. Bella cosa la televisione, crea solo la porzione di mondo che riprende.

domenica 6 dicembre 2009

Il Primo Inverno di Magdeline (sei)

di Fabio Bertinetti

“Febbraio mese di merda”. La frase era diventata un assioma. Marco era seduto sul divano ad osservare il nulla. La sua mente era sospesa tra i ricordi e i rimpianti. Ancora gli risuonavano in testa le parole della moglie:


“Non possiamo stare più insieme, non posso più vivere qui. Non ti amo più”. Il pensiero atroce era che qualcosa non tornasse. Il dubbio più feroce era che non tutto fosse stato detto. I pezzi mancanti di quel puzzle dovevano per forza essere frutto di una omissione, non di un errore, non di una sua mancanza. Le domande senza risposta erano il segno che le risposte, nella realtà, c’erano ma erano scomode e dolorose.

“C’è un altro?”. Questa la domanda più importante. Marco aveva avuto il coraggio di farla, e l’aveva fatta per sentire la risposta. L’aveva fatto sapendo che un “Si!” sarebbe stato meglio del nulla, del silenzio.

“Ma cosa vai a pensare?” Rispondeva lei, col suo innato talento per la menzogna, con il suo gusto per la “Mentira”.

“La Mentirosa” pensava Marco. “La mentirosa” che in spagnolo fa rima con “Mariposa”. “La bugiarda” e “la farfalla” due parole che in Italiano non hanno alcuna comunanza, né in significato né in rima, eppure adattate a Magdeline avevano una terribile correlazione.



Alle volte le bugie, oltre a dirle, bisogna anche saperle confermare con i fatti.

“Giuseppe mi ha trovato un posto. E’ fuori Roma ed è un piccolo appartamento di sua proprietà. Starò lì per un po’, fino a quando capirò bene cosa mi sta succedendo.” Troppo facile pensare che

Giuseppe fosse l’amante. Troppo esposto Giuseppe per esserlo. Magdeline era amica della sua fidanzata, aveva confidenza con la madre di Giuseppe. No! Troppo sfacciato. Troppo esagerato come gioco. Non che non fosse possibile, ma era un evidente percorso al massacro, per tutti. “Più per gli altri che per me” pensava Marco. Che differenza faceva chi fosse l’amante? Qualcuno c’era. Nonostante le bugie di Magdeline, qualcuno doveva esserci. Ma che importanza era chi fosse? Se fosse stato Giuseppe, non avrebbero avuto da perdere più loro? i presunti amanti?

Queste le domande che si affollavano nella mente del ragazzo, mentre la campagna romana si apriva di fronte alla sua automobile. La via Tiberina era sgombra in quella domenica di fine febbraio. La destinazione sarebbe stata quella sistemazione parziale nella quale Magdeline avrebbe dovuto vivere. Arrivarono a destinazione e scaricarono la macchina. C’era anche Giuseppe, con le chiavi del piccolo appartamento al piano terra. La palazzina era di quattro piani, e sembrava una cattedrale nel deserto. Distante chilometri dai centri abitati era un presidio di dimenticati in mezzo al nulla. Sistemarono le cose di Magdeline, tutti e tre, fino a che non arrivò il pomeriggio. Giuseppe se ne andò lasciando soli i due coniugi. L’ora di pranzo era passata, ma a nessuno dei due andava di mangiare. Le ore passarono tra movimenti lenti e speranze vane. Una volta che ebbero finito di sistemare gli abiti, spostare i mobili, pulire la casa, arrivò il buio. In televisione passavano scene di

Guerra: l’Iraq era stato invaso, ma a Marco sembrava più pericolosa e crudele la situazione che stava vivendo. Venne l’ora di rincasare e lasciare sola Magdeline. Si abbracciarono, come due amanti, poi lei disse: “Dormi qui questa notte, non mi lasciare sola”. “Meglio di no!” Rispose lui.

E tornò in macchina. Nelle settimane successive si chiese più volte se quella non fosse stata un’ ultima occasione. Più volte ebbe modo di pentirsi di quel suo rifiuto.