lunedì 14 dicembre 2009

Il grande piano?

Ogni riferimento a fatti, cose o persone e’ puramente casuale. Il racconto e’ frutto esclusivo della fantasia malata dell’autore.



Il Presidente

di Fabio Bertinetti

Gianni si avvicino’ alla porta. Per un momento esito’, quindi si fece coraggio e busso’. Il lungo corridoio era vuoto. Gli uomini della sicurezza sapevano far bene il proprio lavoro, quando volevano. Il suono rimbombo’ nell’ampio spazio privato della presenza umana.
-Avanti!- Rispose una voce dall’altra parte. Gianni sospiro’ ed entro’ nella stanza.
-Presidente, e’ permesso?- ribadi’ con reverenza il visitatore
-Lo vedi? Lo vedi cosa e’ successo?- Disse il Presidente disteso sul letto
-Presidente, e’ stato un errore!-
-Non me ne frega un cazzo! Lo vedi cosa e’ successo?- Ribadi’ l’importante personaggio, indicando il proprio volto sfigurato.
-lo vedo, e ne sono rammaricato! Gli era stato detto di non esagerare, ma sa! Effettivamente e’ un po’ toccato- rispose Gianni picchettandosi la tempia con il dito
-Mi ha colpito in pieno! Mi ha devastato la faccia! Non dategli un Euro. E non dategli il lavoro che gli abbiamo promesso!-
-Presidente, non penso sia cosi’ semplice. Potrebbe avere dei risentimenti ed essere un problema in futuro.-
-Si ma lo vedi cosa mi ha fatto?- continuo’ inviperito il Presidente. Gianni non rispose, si rese conto che in quel momento il suo interlocutore era emotivamente instabile. Non sarebbe stato in grado di comprendere dei percorsi logici. Cambio’ discorso
-E’ stato dato ampio risalto a quanto e’ accaduto Presidente!-
-Bene! Almeno e’ servito a qualcosa. Speriamo che non succeda come l’altra volta, che poi ho perso le elezioni regionali. Forse lo sbaglio e’ stato provvidenziale!-
-Questa volta riusciamo ad ottenere piu’ risultati, Presidente! Oltre al fatto che tra qualche mese ci saranno le elezioni, bisogna considerare il consenso che otterremo nel “blindare” internet. I segnali di pericolo messi in giro nelle precedenti settimane ora trovano riscontro. Questa volta il piano e’ stato piu’ strutturato. Certo che l’esser stato colpito la ha messa seriamente in pericolo. Me ne rammarico nuovamente.-
-Speriamo sia l’ultima volta che siamo costretti a ricorrere a questi stratagemmi. Qualcuno di quei rompicoglioni che mi tampinano potrebbe notare le “coincidenze”.-
-Siamo in grado di delegittimarli! Non si preoccupi abbiamo la possibilita’ di scavare nel passato di chiunque e zittirlo!-
-Speriamo bene. Speriamo che nessuno noti che il periodo delle aggressioni era lo stesso. Speriamo che nessuno noti la vicinanza delle elezioni regionali. E speriamo che nessuno sottolinei la scarsa efficacia della scorta. Mi raccomando, questo e’ il nostro prossimo obiettivo. Vigilate!-
-Forse sarebbe il caso di cambiare qualcuno della scorta Presidente. Il fatto che ci siano uomini che la seguono da anni, nonostante abbiano gia commesso errori, puo’ insospettire-
-Sono d’accordo. Se ne occupi lei. E’ ora di “svecchiare gli uomini”-
-Non si preoccupi Presidente. Ora pensi solo a guarire-
Il presidente fece un cenno con la mano, in segno di saluto. Gianni usci’ dalla stanza di ospedale.

Sospiro’ ricordando i tempi in cui la politica non era cosi’. Non somigliava tutto ad reality show. Meno male che le telecamere delle reti nazionali si erano ben guardate dall’inquadrare il pubblico. La piazza era semideserta. Se non ci fosse stata quell’aggressione forse qualcuno se ne sarebbe accorto. Bella cosa la televisione, crea solo la porzione di mondo che riprende.

domenica 6 dicembre 2009

Il Primo Inverno di Magdeline (sei)

di Fabio Bertinetti

“Febbraio mese di merda”. La frase era diventata un assioma. Marco era seduto sul divano ad osservare il nulla. La sua mente era sospesa tra i ricordi e i rimpianti. Ancora gli risuonavano in testa le parole della moglie:


“Non possiamo stare più insieme, non posso più vivere qui. Non ti amo più”. Il pensiero atroce era che qualcosa non tornasse. Il dubbio più feroce era che non tutto fosse stato detto. I pezzi mancanti di quel puzzle dovevano per forza essere frutto di una omissione, non di un errore, non di una sua mancanza. Le domande senza risposta erano il segno che le risposte, nella realtà, c’erano ma erano scomode e dolorose.

“C’è un altro?”. Questa la domanda più importante. Marco aveva avuto il coraggio di farla, e l’aveva fatta per sentire la risposta. L’aveva fatto sapendo che un “Si!” sarebbe stato meglio del nulla, del silenzio.

“Ma cosa vai a pensare?” Rispondeva lei, col suo innato talento per la menzogna, con il suo gusto per la “Mentira”.

“La Mentirosa” pensava Marco. “La mentirosa” che in spagnolo fa rima con “Mariposa”. “La bugiarda” e “la farfalla” due parole che in Italiano non hanno alcuna comunanza, né in significato né in rima, eppure adattate a Magdeline avevano una terribile correlazione.



Alle volte le bugie, oltre a dirle, bisogna anche saperle confermare con i fatti.

“Giuseppe mi ha trovato un posto. E’ fuori Roma ed è un piccolo appartamento di sua proprietà. Starò lì per un po’, fino a quando capirò bene cosa mi sta succedendo.” Troppo facile pensare che

Giuseppe fosse l’amante. Troppo esposto Giuseppe per esserlo. Magdeline era amica della sua fidanzata, aveva confidenza con la madre di Giuseppe. No! Troppo sfacciato. Troppo esagerato come gioco. Non che non fosse possibile, ma era un evidente percorso al massacro, per tutti. “Più per gli altri che per me” pensava Marco. Che differenza faceva chi fosse l’amante? Qualcuno c’era. Nonostante le bugie di Magdeline, qualcuno doveva esserci. Ma che importanza era chi fosse? Se fosse stato Giuseppe, non avrebbero avuto da perdere più loro? i presunti amanti?

Queste le domande che si affollavano nella mente del ragazzo, mentre la campagna romana si apriva di fronte alla sua automobile. La via Tiberina era sgombra in quella domenica di fine febbraio. La destinazione sarebbe stata quella sistemazione parziale nella quale Magdeline avrebbe dovuto vivere. Arrivarono a destinazione e scaricarono la macchina. C’era anche Giuseppe, con le chiavi del piccolo appartamento al piano terra. La palazzina era di quattro piani, e sembrava una cattedrale nel deserto. Distante chilometri dai centri abitati era un presidio di dimenticati in mezzo al nulla. Sistemarono le cose di Magdeline, tutti e tre, fino a che non arrivò il pomeriggio. Giuseppe se ne andò lasciando soli i due coniugi. L’ora di pranzo era passata, ma a nessuno dei due andava di mangiare. Le ore passarono tra movimenti lenti e speranze vane. Una volta che ebbero finito di sistemare gli abiti, spostare i mobili, pulire la casa, arrivò il buio. In televisione passavano scene di

Guerra: l’Iraq era stato invaso, ma a Marco sembrava più pericolosa e crudele la situazione che stava vivendo. Venne l’ora di rincasare e lasciare sola Magdeline. Si abbracciarono, come due amanti, poi lei disse: “Dormi qui questa notte, non mi lasciare sola”. “Meglio di no!” Rispose lui.

E tornò in macchina. Nelle settimane successive si chiese più volte se quella non fosse stata un’ ultima occasione. Più volte ebbe modo di pentirsi di quel suo rifiuto.

venerdì 13 novembre 2009

INTERVISTA CON LA STORIA (2)

La fredda meccanica delle cose

di Fabio Bertinetti



Sono sconvolto! Sto tentando di capire il tempo in cui vivo ora, così talmente diverso dal mio. Ma non vi riesco molto. Ciò che più mi indigna, mi offende,è constatare come tutte le occasioni che avete avuto per cambiare il mondo in un luogo più giusto, siano,nella realtà dei fatti, miseramente fallite o parzialmente riuscite. Così, solo per quel tanto che era necessario affinché ci fosse progresso, le cose sono cambiate, mutate. Non è giustizia assoluta, non è il raggiungimento di un mondo reale e non è neanche la metà di ciò, ma solo piccole concessioni che prima o poi il potere avrebbe dovuto donare, offrire. Ciò che voi avete adesso, rapportato a ciò che potreste avere, non è che il congelamento della situazione esistente anche cinquecento anni fa. Ora, tutto questo mio pensare è dato unicamente dal fatto che, non capisco come mai in un periodo ove c’è un accesso enorme alla cultura e all’informazione, dove ognuno è in grado di scrivere di leggere, di informarsi e di pensare, ebbene tutto questo non avvenga, o meglio non avvenga come sarebbe auspicabile e possibile. Ciò che mi colpisce è che tra il contadino della valle padane del cinquecento o del bottegaio della Roma rinascimentale e voi, nel vostro tempo, non ci sia alcuna differenza. Tra loro e voi, non c’è quella che ci sarebbe dovuta essere in quanto coscienza e consapevolezza,nonostante abbiate chi ve lo dice, chi ve lo indica, chi ve lo urla…voi non lo seguite. Nonostante la conquista del libero arbitrio e delle libertà personali, non riuscite a gestire i mille sotterfugi che eludono la vostra capacità di giudizio. Grazie proprio a questi si riesce ad entrare nelle vostre teste, arrivare alle vostre coscienze annullando questo libero arbitrio, e convincendovi a pensare che tutto ciò che prima, era così prezioso..è ora scontato. Lotte, princìpi, valori diventano improvvisamente parte dormiente del patrimonio comune. Dormiente perché non sono così utilizzati e seguiti come dovrebbero essere. Patrimonio comune, perché si sa che avendoli raggiunti non è più necessario perseguirli. E forse neanche difenderli! Si raggiunge così l’ossimoro della “barbarie civile”, di una sorta di processo di imbarbarimento delle coscienze di civiltà ricche e decadenti. Di civilità simili a quelle, istruite e sofisticate, che sono implose il momento in cui hanno perso il pensiero collettivo, il senso della giustizia e la solidarietà sociale. Di civiltà che sono state portate sull’orlo del baratro da una fredda meccanica delle cose.



Raimondo Farese

Cavaliere delle Bande nere

lunedì 12 ottobre 2009

La città punita - anteprima capitolo I-

Governolo, Mantova, 25 Novembre 1526



La sera si stava approssimando e le Bande Nere iniziavano a sentirsi a proprio agio. Ormai la tattica era sperimentata. Gli assalti notturni alle retrovie dei soldati Tedeschi avevano reso parecchio nei giorni passati, ed era venuto il momento di attaccare il grosso del contingente nemico.
L’obiettivo di Georg Frundsberg era di rinforzare l’esercito imperiale, impegnato con le forze della Lega, quello di Giovanni de Medici impedirlo a tutti i costi. Raimondo cavalcava nelle prime file, accanto a lui vi erano Lucantonio Cuppano e il capitano Giovanni De Medici. Pur essendo molto giovane, Giovanni, aveva già fama di comandante esperto e le sue Bande Nere erano l’unico reparto militare che in quei giorni aveva avuto l’ardore e l’ardire di affrontare i Lanzichenecchi.
Le forze nemiche erano scese dalle pianure Tedesche qualche settimana prima e l’esercito della Lega di Cognac, comandato dal Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, aveva preferito ritirasi da Milano e dirigersi verso Marignano. Giovanni dalle Bande Nere si era rifiutato di seguirne la ritirata preferendo fare di testa sua.
- Capitano!- Esclamò Raimondo a voce bassa
- Dimmi Amico mio - Rispose Giovanni
- Stavo pensando allo scherzo che ci hanno tirato i Gonzaga. Forse in questa guerra abbiamo troppi nemici-
- Cosa vuoi dire?-
- L’affronto di ieri notte Giovanni!-
- Non ti preoccupare, quando avremo vinto questa guerra, la pagheranno. Dovranno pur trattare con Sua Santità il momento in cui gli Imperiali saranno cacciati dall’Italia -
- Non mi preoccupo del futuro, ma del presente-
- Non ti deve intimorire la battaglia Raimondo. Ne hai combattute parecchie al mio fianco e sai come riusciamo a colpire con rapidità. Ben conosci come riusciamo ad essere devastanti.-
- Non mi curo della battaglia. Ho una fiducia smisurata in questi uomini. Senza contare che i Tedeschi ormai ci temono. Da giorni stiamo colpendo le loro vettovaglie. Li cogliamo all’improvviso di giorno e di notte. Non hanno mai il tempo di ingaggiarci e sconfiggerci. Mi preoccupo delle trame che possono essere ordite alle nostre spalle. Ti dico per esperienza che le alleanze si tessono e si sciolgono con la stessa velocità di un batter di ciglia. Ieri hanno sollevato il ponte levatoio di Borgoforte per impedirci di assalire i Tedeschi. Posso anche capire la necessità di un piccolo stato di collaborare con l’impero e far passare i soldati sul proprio territorio, ma impedire il passaggio a noi è un segnale che non mi piace. Per non parlare poi dei falconetti che Alfonso d’Este ci aveva promesso e che non sono mai arrivati-
- L’importante è che siamo passati Raimondo. Per quel che riguarda le artiglierie, faremo in modo che non ci servano. Ora però silenzio, anche se siamo sottovento non voglio rischiare che i nemici ci sentano-
Giovanni fece un cenno e tutta la colonna si fermò. Avanti c’erano i cavalieri in armatura, equipaggiati con armi da urto e corazze brunite per confondersi nella penombra. Più dietro vi erano gli archibugieri a cavallo, soldati che smontavano quando era il momento di combattere e risalivano in sella quando era il momento di fuggire. Entrambi erano montati su cavalli Arabi, piccoli e veloci animali che favorivano la rapidità dell’azione.
Uno degli esploratori in quel momento tornò e si fermò di fronte al Capitano, facendogli cenno di seguirlo. Passarono alcuni minuti, quindi si giunse in vista di una fornace presso la confluenza tra il Po e il Mincio.
Giovanni chiamò a sé Lucantonio e gli diede delle istruzioni semplici ma efficaci, poi chiamò Raimondo e gli disse:
-Stammi vicino!-
Raimondo annuì rimanendo accanto a quel condottiero più giovane di lui, che si comportava come il più anziano ed esperto dei comandanti.
Giovanni de’Medici si pose in testa alle truppe in armatura allontanandosi dalle forze nemiche, mentre Lucantonio Cuppano prese il comando degli archibugieri a cavallo facendosi sotto ai Tedeschi.
Il movimento degli Italiani non passò inosservato. Georg Frundsberg accortosi del pericolo fece disporre alcuni dei suoi in ordine di battaglia, lasciando ai più l’incombenza della marcia. Lucantonio fece avvicinare i fanti con la precisa volontà di attirare su di se l’attenzione del nemico. Quando ritenne di essere alla giusta distanza, diede ordine ai suoi di aprire il fuoco. In breve gli uomini scesero da cavallo e iniziarono a sparare sui Lanzichenecchi, che disposti in ordine chiuso per difendersi dalla cavalleria, erano un bersaglio facile. Anche dalle file Tedesche partirono palle di archibugio, ma gli Italiani dispersi sulla pianura risultavano difficili da inquadrare anche a quelle distanze non proibitive.
Non c’era fuoco organizzato da parte Italiana e non vi era neppure il preciso intento di abbattere quanti più soldati possibile. Il vero scopo di Lucantonio era costringere i nemici a disperdersi per poter favorire la carica di Giovanni. Lo scambio di colpi fu breve; con l’approssimarsi dell’oscurità il Capitano de Medici partì all’attacco e con lui Raimondo. Il drappello di Tedeschi fu investito sul fianco ed in breve si disperse lasciando sul terreno morti e feriti. Raimondo si lanciò all’inseguimento di chi fuggiva, mentre dalle retrovie truppe fresche venivano organizzate dal Frundsberg per resistere alla carica e dare riparo ai compagni.
In breve il Capitano De Medici tornò in testa ai suoi e si accinse a caricare anche la seconda linea di picchieri, mentre i suoi archibugieri erano rimontati a cavallo e sparavano dagli animali contro ogni Tedesco che avesse un’arma da fuoco. Sembrava una vittoria netta, ma fu solo un’illusione.



Herbert Maier non aveva ancora utilizzato quel falconetto, ma era convinto di riuscire a governarlo nel momento in cui fosse stato chiamato a farlo. Erano giorni che gli Italiani non davano tregua a lui e ai suoi compagni e quel modo di combattere insidioso e disonorevole prima o poi avrebbe comportato loro più danni che vantaggi.
Lo scontro che si stava svolgendo non sarebbe stato come quelli dei giorni precedenti Questa volta lui e i suoi compagni avevano un’arma in più da poter utilizzare. Mentre ordinava ai suoi uomini di spingere il pezzo verso il forno, ripensava a come l’anno precedente aveva visto gli Spagnoli abbattere i Cavalieri Francesi a colpi d’archibugio. In quell’occasione era stato sconfitto e catturato Francesco I re di Francia, ora quel giovane comandante Italiano non poteva sperare di riuscire dove un grande re aveva fallito.
-Non è più tempo per i cavalieri - Disse con estrema calma ad uno dei suoi uomini, poi aggiunse:
-Dite agli Italiani di caricare il cannone-
I genieri ricevettero l’ordine in Italiano e subito si accinsero ad inserire nella bocca del falconetto la palla di ferro che avrebbe risolto lo scontro. Non ci misero molto ad armare il pezzo, e ormai il drappello di Diavoli Neri aveva investito un quadrato di picchieri e si accingeva a caricare le seconde linee. Ancora uno sforzo e il pezzo venne spinto di fianco al forno, uscendo dalla posizione nella quale si trovava: nascosto alla vista del nemico, ma abbastanza vicino da poter essere utilizzato. Il comandante Frundsberg ordinò che il quadrato di picchieri si aprisse per lasciar sparare il pezzo. L’ordine venne eseguito alla perfezione e davanti a se Maier trovò proprio il Capitano nemico. Un urlo in tedesco e la miccia venne accesa dai genieri che Alfonso d’Este aveva fornito ai tedeschi, insieme alle artiglierie. Le stesse che erano state promesse a Giovanni, ma che all’ultimo momento erano state vendute al più forte dei due contendenti.


Raimondo vide aprire le file dei tedeschi e per un momento non realizzò bene cosa stesse succedendo. Partì il colpo e Giovanni, a pochi metri da lui, cadde da cavallo come spinto da una forza sovrumana. Lo sgomento colpì le forze Italiane, che per un attimo smisero la carica per cercare di capire cosa stesse succedendo. Lucantonio diede ordine ai suoi di avvicinarsi ancora al nemico e continuare a sparare. Raimondo fece fare al cavallo un paio di giri su se stesso, sempre guardando quell’armatura a terra che sembrava vuota di vita. Riprese poi la carica. I cavalieri Italiani lo seguirono e investirono anche il secondo gruppo di Tedeschi, mentre il falconetto veniva nuovamente spinto lontano dal luogo della battaglia. Perse tempo l’esperto soldato ingaggiando un furioso corpo a corpo con i picchieri nemici e non riuscì a raggiungere il cannone inghiottito dall’oscurità. Quando gli Italiani ebbero la meglio, ormai il grosso delle forze nemiche era riuscito a sganciarsi. Raimondo sapeva benissimo che Giovanni avrebbe tentato l’inseguimento per poter abbattere quanti più nemici possibile, e si sarebbe sganciato solo quando il nemico si fosse fatto più reattivo, ma non poteva dare fondo all’azione con il suo Capitano a terra. Si diresse al trotto verso la zona dove aveva visto cadere il suo amico, e riuscì ad individuarla solo perché altri compagni si erano già fermati a soccorrerlo. Era ancora steso, ma gli era stato tolto l’elmo, e quando si avvicinò, nonostante il buio, vide che i suoi occhi erano aperti.
-Giovanni! Sei vivo!- Disse con stupore
-Inseguili!- Disse il De’ Medici con voce affannata
-Sono andati Giovanni. Abbiamo vinto anche questa volta-
-Non c’è vittoria se non li fermiamo!-
-Li fermeremo domani. Fatti aiutare, fa che ci possa essere un domani da combattere- gli disse Raimondo
-Combattiamo subito! Rimettetemi in sella svelti! Li dobbiamo raggiungere!-
-Non sei in condizioni di combattere Giovanni!-
-Do io gli ordini Raimondo! Non ti approfittare della nostra amicizia!- poi chiamò il suo secondo:
-Lucantonio! Lucantonio! Dove sei?- urlando disperatamente
-Sono qui Giovanni, come stai?-
-Li dobbiamo inseguire! Rimettimi in sella svelto!-
Lucantonio Cuppano guardò Raimondo e senza parlare capirono il da farsi. Quattro uomini in armatura nera alzarono Giovanni da terra, facendo attenzione a non toccargli la gamba destra. Riuscirono ad issarlo in sella, quindi videro che il colpo di cannone aveva sfondato l’armatura e gli aveva fracassato lo stinco.



Nell’ampia scalinata della casa di Luigi Gonzaga risuonava il metallo delle armature. Un gruppo di cavalieri era appena entrato e dopo aver consegnato i cavalli agli stallieri della dimora si dirigeva con passo veloce verso la stanza ove era sistemato il capitano De’ Medici. Raimondo aveva l’elmo sotto il braccio destro, mentre con il sinistro faceva eloquenti gesti al drappello che lo seguiva indicandogli di sbrigarsi. Erano riusciti a trovare Maestro Abramo il medico di origine Ebraica che già mesi prima aveva curato Giovanni alla stessa gamba, per un colpo di archibugio ricevuto davanti a Pavia durante una scaramuccia. Il giovane De’Medici si addolorò alquanto per quella ferita che gli impedì di partecipare alla grande battaglia del febbraio del ’25. Questa volta sembrava più grave. Le tre libbre della palla di falconetto gli avevano ridotto l’arto in condizioni pietose e la stessa armatura, squarciandosi , era penetrata nelle carni contribuendo all’infezione. Mentre Raimondo percorreva la distanza che lo separava dal suo amico, era consapevole che l’unico modo per strapparlo da morte certa sarebbe stata l’amputazione. La porta si spalancò repentinamente e gli uomini che erano al capezzale del capitano si allarmarono, pensando a chissà quale irruzione, poi si tranquillizzarono vedendo Raimondo.
- L’hai trovato?- gli disse subito il Cuppano
- Eccolo e’ lui!- fece Raimondo indicando il medico
- Maestro!- disse Giovanni con voce sofferente, poi aggiunse:
- Sono felice di vedervi , spero che possiate ripetere il prodigio della volta scorsa perché ho ancora voglia di salire a cavallo e menare le mani!-
- Figliolo! E’ una brutta ferita- rispose laconico il medico.
- Siamo riusciti a togliere l’armatura con molta fatica Maestro- aggiunse Raimondo indicando il pezzo di ferro che ancora giaceva in terra.
- Quando è stato ferito?- chiese Abramo
- Ieri sera Maestro. Non siamo riusciti a trovarvi prima. Abbiamo avuto problemi con il signor Duca che prima non ci ha concesso rifugio a palazzo e poi ha temporeggiato sulla richiesta che foste chiamato. Lo abbiamo trasportato in lettiga sotto una bufera di neve. Ha rischiato di morire assiderato, ora rischia la cancrena. Faccia qualcosa -
- Non c’è molto da fare Cavaliere. Lasciate che prenda i ferri- Così dicendo si voltò verso la porta e fece cenno ad un ragazzo. Questi gli porse una pesante borsa di cuoio entro la quale vi erano attrezzi da lavoro simili quelli di un falegname.
- Dovrete tenerlo forte. Il Capitano De’Medici e’ un uomo vigoroso e se non doveste riuscire a tenerlo ben fermo, rischiamo di fare più danno del necessario.
- Non basteranno venti uomini per tenermi fermo!- disse Giovanni tra il serio e il faceto. Poi aggiunse :
- Se sarete tutti impegnati a reggermi, chi terrà il candelabro per far luce?- e senza dare il tempo ad alcuno di rispondere, prese il pesante manufatto e lo avvicinò alla gamba per far luce lui stesso.-
Come previsto i sei uomini si rivelarono pochi per reggere il Capitano in preda a dolori atroci nel momento in cui Maestro Abramo si dedicò al taglio dell’arto. Chiunque avesse un braccio libero si adoperava a stringere forte il De Medici, poi dopo interminabili minuti il medico ebbe terminato il lavoro e si adoperò a cauterizzare la ferita con olio bollente. Il volto del Capitano era madido di sudore, e in bocca aveva ancora quel pezzo di cuoio che qualcuno gli aveva infilato all’ultimo momento. Raimondo si avvicinò all’infermo ansimante per lo sforzo sovrumano, e gli disse:
- Sei stato sempre il solito coraggioso Capitano. Vedrai che presto sarai di nuovo a cavallo a bastonar nemici.-
- I tedeschi hanno di che preoccuparsi. Questa volta mi hanno fatto arrabbiare Non pensino che una gamba in meno possa fermarmi. Non sanno che le ferite e la perdita di membra sono medaglie e collane dei familiari di Marte-
- E tu ne hai più di tutti Giovanni! Ora dormi che sei molto provato. Non pensare ai sogni di gloria. Lascia rilassare le tue membra.-
Giovanni De’Medici sorrise e si abbandonò alla stanchezza. L’addormentarsi fu così repentino, che i presenti credettero fosse successo l’irreparabile. Raimondo lesse lo sgomento negli occhi degli altri cavalieri, poi disse:
- Si è addormentato-



Il Duca D’Urbino, Francesco Maria della Rovere, venne svegliato di buon ora da un suo attendente. Un uomo a cavallo portava notizie del Capitano De Medici. Il Duca aveva posto il campo nei pressi di Borgoforte, proprio dove alcuni giorni prima erano passate le forze tedesche di Georg Frundsberg. Aveva detto più volte che se i nemici avessero passato il po , anche lui lo avrebbe fatto e non gli avrebbe dato tregua neppure per un minuto. Nei giorni precedenti si era gettato all’inseguimento dei tedeschi, o meglio aveva lanciato quello scalmanato De Medici addosso al nemico. Ora era impaziente di conoscere le ultime novità in merito allo scontro che un paio di giorni prima le bande nere avrebbero dovuto aver ingaggiato con i Tedeschi.
- Eccellentissimo Duca! Il Capitano Giovanni De’Medici è stato ferito in battaglia da un colpo di artiglieria. Attualmente è a Mantova con una gamba amputata.-
Questo fu il laconico resoconto del messaggero e il Duca non sapeva se essere più contento o più dolersi. Congedò il soldato e si ritirò nella sua tenda.
- Ci sono notizie dei Tedeschi?- chiese al proprio attendente
- Abbiamo inviato delle staffette. Non sono ancora di ritorno, entro poche ore dovremmo essere in grado di sapere dove hanno intenzione di dirigersi.-
- Penso di saperlo già !- rispose il Duca
- Pensa si tratti sempre di Bologna?-
- O Bologna o Modena, in ogni caso sono due città dove può tentare di arruolare altri soldati.-
- Allora che sia il caso di agganciarli subito e distruggerli? -
- Forse no!-
- E perché no?-
- Anche se i Tedeschi riescono ad arruolare altri soldati, difficilmente potrebbero mantenerli e stipendiarli tutti. Gia ora hanno seri problemi e i loro soldati non ricevono la paga da giorni. Più passa il tempo e più le forze imperiali rischiano di disfarsi. Se aggiungiamo poi che le forze Spagnole di Carlo di Borbone sono a Milano, ci rendiamo conto che inseguendo i Tedeschi rischiamo di lasciare il campo agli Spagnoli per assalire Venezia, e si sa che il senato di questa città è quello che comanda in questa campagna.-
- Quindi?-
- Quindi non ci interesserà sapere se Frundsberg, varcherà o meno il Po. Quello che mi interessava l’ho già saputo-
- E cosa?-
- Che il Capitano De Medici è fuori gioco per un po’, quindi non ho più teste calde che possano pregiudicare l’equilibrio che intendo perseguire.-
- Vuole aspettare che le forze nemiche si sfaldino da sole?-
- Esatto, poi quando si saranno sciolte come la neve al primo sole, andremo a raccogliere ciò che rimane.-
- Quindi che si fa? E Soprattutto cosa dirà a Sua Santità? Ora tra Roma e i Luterani non c’è alcun esercito-
- Non penso che arriveranno fino a Roma. E comunque noi diremo che torniamo a Mantova in attesa di ordini del senato Veneziano. Fai muovere gli uomini. Si torna in città-



La fiamma era una girandola di colori. Il rosso brillante, il giallo, l’azzurro e degli sprazzi di bianco distraevano Raimondo inducendolo a soffermarsi da parecchi minuti sul fuoco acceso. Mille pensieri gli giravano per la testa, fino che non venne scosso dal bussare alla sua porta.
-Chi è? - Urlò quasi stizzito
-Son Pietro!- rispose una voce conosciuta.
-Entra pure!-
-Raimondo, come stai?-
-Sono confuso Pietro! Sono proprio confuso!-
-E’ stata una perdita immensa, sia per i suoi uomini che per l’intera Italia. Se mai ci potesse essere stato qualchuno in grado di condurre eserciti contro lo straniero, quello sarebbe stato proprio Giovannino. -
-Hai detto bene! Giovannino!. Così giovane eppure così pieno di coraggio, di sapienza tattica, di perizia nel combattere. Non c’era nessuno che potesse batterlo in battaglia o in duello. Eppure qualcuno pagherà per quelle artiglierie date ai tedeschi.-
-Il Ducato D’Este è uno stato minuscolo. Ha dovuto fare un favore all’Imperatore per potersi sentire più al sicuro. Magari domani farà un favore al Papa, oppure si riprenderà le artiglierie. In questo modo sarà stato utile ad entrambe le parti senza però schierarsi mai.-
-Non basterebbero cento Giovanni che conducessero un esercito di milioni di uomini, se poi gli intrighi la fanno da padrone. Quando mai i principi Italiani riuscirebbero ad unirsi, quando ognuno di loro è pronto a tradire?
-E’ per questo che l’esempio di Giovanni è ancora più prezioso.-
-Chi ci ha parlato per ultimo?- chiese Raimondo cambiando discorso
-Io! Ci ho parlato per alcuni minuti, prima che perdesse le forze e la vita.-
-Ha detto che fare con le Bande?-
-Le guiderà Lucantonio, ma non penso sarà la stessa cosa. Ti ricordi a Pavia lo scorso anno?-
-Certo che me lo ricordo. Giovanni era stato ferito e non potè partecipare alla battaglia. Noi eravamo il fantasma delle Bande Nere. Irriconoscibili.-
-Eravate male utilizzati. Sulla difensiva come un qualsiasi gruppo di fanti. Giovanni avrebbe preso l’iniziativa sottraendola al nemico.-
-Tu che farai ora?-
-Cosa farò io, non lo so. Però so cosa farai tu!-
-Che dici Aretino? Giovanni ti ha detto qualcosa di me?-
-Mi ha dettato il testamento, che io da buon uomo di lettere ho trascritto. Ha nominato suoi eredi universali la moglie Maria e il figlioletto Cosimo, che come tali riceveranno anche i debiti.-
Raimondo sorrise all’affermazione di Pietro L’Aretino, poi aggiunse:
-Con tutte le donne sparse per l’Italia, penso ne siano rimasti pochi di soldi per la famiglia. Se era un comandante devoto, altrettanto non si può dire lo fosse come padre o come marito.-
-Era…esuberante!- sottolineò lo scrittore ridendo. Poi aggiunse.
-Raimondo, proprio di quest’ultimo argomento ti volevo parlare.-
-Quale argomento? Le donne di Giovanni?-
-Non le donne. Una sola donna. Non nel generale, ma nel particolare.-
-Dimmi!-
-Vedi Raimondo, a Roma c’è una certa Giulia che in più occasioni è stata molto vicina al nostro comandante e della cui incolumità Giovanni, si andava preoccupando.-
-Perché? Chi gli vuole fare del male?-
-Nessuno in particolare, ma vedi , Giovanni era certo che senza di lui nessuno avrebbe inseguito i Lanzichenecchi cercandone la distruzione. Si preoccupava in particolare di due città, che riteneva fortemente minacciate dalle forze Tedesche.-
-Una è Roma vero?-
-Certo! Una è la città del Papa. Tu sai quanto questi Luterani ce l’abbiano con la chiesa Romana sostenendo che è il principio di tutti i mali, e denunciandone tutti quegli usi e abusi che la caratterizzano.-
-E gli dai torto?- lo interruppe Raimondo
-Ah! per chi mi hai preso? Non ti ricordi per quale motivo venni cacciato da Roma?-
-Le tue statute parlanti!-
-Esatto, ad Adriano VI (pace all’anima sua) quella statua di Pasquino non gli è proprio piaciuta- e sorrise. Dopo alcuni secondi riprese il filo del discorso:
-Come ti dicevo, una città è Roma e l’altra è Firenze. Entrambe sono molto vicine alla Santa Romana Chiesa, e adesso che c’è un’altro De’Medici come Papa, le cose per Firenze non migliorano di certo.-
-E io dovrò andare a Roma al posto tuo,dato che tu sei dovuto fuggire.-
-Esatto. A Roma dovrai fare due cose, una per me e una per il povero defunto Capitano-

venerdì 2 ottobre 2009

Anglocomunisti?

Riporto da you tube:
"Nel programma satirico trasmesso dalla BBC Mock the week i comici in studio parlano di Silvio Berlusconi e delle sue battute su donne e terremotati d'Abruzzo. Il programma è stato sottotitolato dal sito www.italiadallestero.info"

questa è la storia di oggi. Una storia molto triste. Click sul titolo e amare risate.

mercoledì 29 luglio 2009

La vita dei pesci

di Fabio Bertinetti

-Stiamo girando in tondo! Stiamo girando in tondo! Siamo sempre allo stesso posto, al punto di partenza!-
Ruggiero si incuriosì nel sentire tali affermazioni e si avvicino’ all’uomo che le aveva pronunciate
-Cosa avete detto?- gli chiese
-Stiamo girando in tondo! Stiamo girando in tondo! Voi non ve ne accorgete, ma siamo sempre al punto di partenza. Non siamo in una vita reale.- Nel ripetere il concetto quell’uomo si era avvicinato a Ruggero che ,d’istinto, si trasse indietro. Ora che lo osservava meglio si rendeva conto che doveva trattarsi di un povero pazzo, un barbone o forse un drogato. Le vesti lacere, la barba incolta e gli occhi scavati. Chissà perché non se ne era accorto subito. Chissà perché era rimasto tanto incuriosito da quell’affermazione, al punto avvicinarsi a quell’uomo pericoloso.
Era tardi ormai: le nove meno un quarto del mattino e ,come ogni giorno, Ruggiero aveva tante cose da fare in ufficio. Una normalissima giornata di lavoro, si accende il computer, si apre la mail, si cerca di capire quale sarà la criticità da gestire e se, soprattutto, quanto gestito ieri ha soddisfatto il proprio capo. Nulla di nuovo: espletamento del dovere e attesa del risultato. Dita incrociate affinché variabili ingovernabili non vanifichino il tutto.
-Stiamo girando in tondo!-
-Eh?-rispose Ruggero
-Stiamo girando in tondo a quella storia di ieri. Non raggiungiamo alcun risultato, chiama l’ufficio legale e chiedigli se possiamo procedere come abbiamo convenuto in serata.-
Disse il coordinatore entrando trafelato nella stanza di Ruggero. Questi trasalì nel sentir ripetere la frase e per un attimo ebbe la sensazione del deja vu’. Pochi secondi dopo si riprese: era chiaro a cosa si riferisse il suo interlocutore, non come il matto di pochi minuti prima che esprimeva deliri senza senso. Iniziò a lavorare con la solita frenesia e la medesima motivazione, venne poi l’ora del pranzo. Anche quel giorno avrebbe mangiato da solo. Scese in strada e si diresse verso il solito bar. I suoi pensieri si perdevano tra le pratiche lasciate in sospeso al quarto piano di quell’ufficio alle sue spalle. Non si accorse dell’uomo che gli si fece incontro.
-Stiamo girando in tondo! Stiamo girando in tondo-
-Di nuovo? Basta! Hai rotto le palle levati!- gli rispose Ruggiero spintonando il suo interlocutore. Questi cadde in terra, dando così modo all’altro di sottrarsi al supplizio.
Pranzò rapidamente guardandosi intorno continuamente. Una volta che ebbe finito uscì in strada per tornare al lavoro. Nuovamente incontrò l’uomo, ma stavolta aveva un’aria diversa. La barba era fatta e vestiva un abito di un grigio impeccabile. La cravatta di colore scuro lo irreggimentava in una disarmante normalità lavorativa. A Ruggero parve di vivere un sogno: Nulla di ciò che gli successe in mattinata gli sembrò e ancor meno pareva esserlo questo.
-Piacere! Sono la tua coscienza!- fece l’uomo una volta avvicinatosi a lui. In quel momento a Ruggiero sembrò di vivere un esperienza onirica. Attese alcuno attimi, quindi rispose:
-E prima? Che cosa eri?-
-Anche prima lo ero, ma non mi hai dato il tempo per dirtelo.-
-Mi hai spaventato, cosa credevi?-
-Mi dispiace di averti spaventato. Ora spero che così tu mi accetterai e, soprattutto, mi ascolterai-
-Perché dovrei ascoltarti?-
-Ti ho gia detto chi sono vero?-
-Si! Si! La mia coscienza!-
-Bene! E tu chi sei? Un uomo? Un comodino? Un insetto?-
-Sono un uomo, lo sai benissimo-
-Bene! Allora se sei un uomo sei tenuto ad ascoltare la tua coscienza, altrimenti tra te ed una medusa in mezzo al mare non ci sarebbe differenza: vivreste entrambi per sopravvivere ed entrambi potreste fare del male a causa della vostra mancanza di coscienza. La differenza sostanziale e’ data dal livello di evoluzione che hanno avuto creature come le meduse e creature come gli uomini.-
-So perché sei qui!-
-Bene! Allora c’e’ qualcosa in quella testa! Sai anche cosa ti devo dire?-
-E’ per la discussione che ho avuto l’altra sera con Ilaria vero?-
-Tu hai risposto senza pensare! Te ne rendi conto?-
-Ho risposto quello che pensavo!-
-E ritieni di potertela cavare in questo modo?-
-Ma che vuoi da me? Anche tu con queste storie della responsabilità, dell’importanza della politica! Ma sai a me quanto me ne può fregare della politica?-
-Lo sai quale può essere la risposta vero?-
-Che sono un qualunquista? E’ lo stesso che mi ha detto ieri Ilaria. E allora va bene sono uno sporco qualunquista di merda va bene?-
-No! Non va bene affatto!-
-E chi lo dice?-
-Lo dici tu! Io sono la TUA coscienza, non quella di qualcun altro e se sono qui è perché intimamente sei convinto che non va bene affatto, quindi impegnati e dammi qualche risposta che possa soddisfarti. Se tu sarai intimamente convinto io sparirò.-
-E mi lascerai in pace?-
-Diciamo che sarai abituato a convivere con me, quindi non mi noterai nemmeno.-
-E allora va bene! Diciamo che ho avuto torto a pensarla così-
-Così come?-
-Così come ho fatto fino ad ora. Avrei dovuto pensare con più coscienza nella cabina elettorale. Ora i telegiornali sono omologati, l’opinione pubblica condizionata, il dissenso civico stigmatizzato e ridicolizzato. Ognuno che la pensa diversamente dall’ordine costituito è diverso, pericoloso, sovversivo, rivoluzionario, comunista.-
-E tu?-
-E io ho votato per simpatia, quasi per gioco. Ho scelto in base a quello che dicevano gli altri, senza informarmi, senza approfondire. Forse dovrei leggere il giornale, forse dovrei spegnere il televisore.-
-Bene, lo vedi che stai prendendo coscienza?-
-Si, è vero ora capisco. Ma tu perché non sei ancora sparito?-
-Perché manca ancora una cosa. Pensaci bene. Ti alzi la mattina, vai a lavorare, torni a casa e ti metti davanti alla TV. Ogni tanto esci e magari vai anche a ballare, ma che sensazione hai realmente? Ti senti soddisfatto? Oppure ti manca qualcosa?-
-Sono un consumatore ed ho tutto quello che mi serve. Posso scegliere cosa comprare, dove andare a divertirmi e se mangiare cinese, giapponese o indiano, ma….-
-Continua!-
-Mi sfugge qualcosa. Al lavoro va tutto bene, ma ancora non sono convinto che tutto sia così limpido.-
-Dai! Ancora uno sforzo!-
-Posso essere promosso. Se lavorerò bene sarò promosso e potrò guadagnare parecchio.-
-E quindi?-
-Sarò un consumatore più importante degli altri, avrò un potere di acquisto superiore. Eppure potrebbe non bastare.-
-Perché?-
-Perché non sempre riusciamo a decidere quello che dovremmo. Abbiamo libero arbitrio nel nostro piccolo mondo di consumatori, ma oltre non possiamo molto. Gli interessi economici dei colossi industriali, delle multinazionali, dei produttori di petrolio ci tengono ancorati a questo modo di vivere che potrebbe anche non piacerci.-
-Allora?-
-Non c’è alternativa. Non si può prescindere da ciò senza annullarsi, senza venir discriminato. Siamo come in una vasca per i pesci…..giriamo sempre in tondo!-
La coscienza scomparve, improvvisamente, e altrettanto in fretta si accese una luce nella mente di Ruggiero. Ora capiva molte cose e vedeva il mondo con occhi diversi. Non era felice, non come poche ore prima quando si era svegliato. Improvvisamente un tuono lo destò dai propri pensieri ed iniziò a piovere. Ruggiero alzò gli occhi al cielo come per controllare qualcosa, poi si incamminò al coperto. Chissà se quel tuono era stato veramente prodotto da un fulmine o si trattava del dito di un bimbo che bussava sulla vasca dei pesci.

giovedì 25 giugno 2009

Intervista con la Storia (1)

di Fabio Bertinetti


Finalmente siamo riusciti ad ottenere un intervista con il personaggio del momento. Siamo qui in compagnia di Raimondo Farese, il protagonista di due romanzi.
-Buongiorno Raimondo-
-Buongiorno a voi, come state?-
-Bene, grazie. Iniziamo innanzitutto con il presentarci ai lettori e…. posso darti del Tu?-
-Normalmente non sono così pronto nel permettere tanta confidenza. Penso che il rispetto derivi soprattutto dalle formule e nel non dare per scontato che un’eccessiva confidenza possa far piacere a chi lo riceve. Premesso ciò vi accordo il permesso. In fin dei conti siete il mio creatore ed ho intenzione di mostrarvi la mia gratitudine in questo modo.-
-Bene! E allora presentati al lettore. Raccontaci chi sei e cosa hai fatto-
-Il mio nome lo conoscete già tutti, ma non la mia data di nascita. Sono nato a Roma moltissimo tempo fa: il 16 dicembre del 1490. Secondo il vostro oroscopo sono del sagittario, mezzo uomo e mezzo cavallo. Nell’antichità classica avrebbero detto un centauro, ma penso che il nome derivi dalla caratteristica di scagliare frecce. I Sagittarii erano gli arcieri dell’antica Roma. Truppe ausiliare non legioni.-
-Quindi hai 519 anni!-
-518! Per ora. Anche se a quest’età anno più ed anno meno fa poca differenza.-
-Sei ancora qui con noi, ma un giorno morirai anche tu?-
-E’ complicato rispondere a questa domanda. Verrebbe spontaneo dire che in quanto mio creatore dovreste essere voi a decidere, ma non so se sia una risposta corretta.-
-Perché?-
-Perché il personaggio di un libro è sempre immortale. Specialmente se è di fantasia come lo sono io. Potrei dire che la mia immortalità è direttamente proporzionale al numero di lettori che avrò nel corso del tempo. E in un certo senso anche la Vostra, come scrittore.-
-Quindi se io decidessi della tua morte, realmente sarebbe una finzione. Sarebbe più finzione la tua morte che non la tua creazione?-
-In un certo senso si! Comunque entrerò nell’immaginario del lettore a prescindere. Non sarà la mia morte a cancellarmi dalla sua memoria, quindi….-
-La tua creazione sarà reale mentre la tua morte no!-
-Mi piace pensare che sia così-
-Bene Raimondo! Ora raccontaci che cosa hai fatto in tutti questi anni-
-Ho vissuto il cinquecento. Quello che poi è stato definito il rinascimento Italiano: un periodo complesso, pieno di contraddizioni, guerre , intrighi e macchinazioni, tentativi di egemonizzare l’Europa.-
-E chi ha vinto poi?-
-Nel cinquecento nessuno. E neanche nei secoli successivi. La storia si è ripetuta fino al secolo scorso, quando gli Europei si sono stancati di massacrarsi a vicenda.-
-E tu da uomo del cinquecento come hai vissuto il tuo periodo?-
-Da protagonista, anche se sui libri di storia non ci sono finito.-
-Allora eri un gregario! Un non protagonista!-
-Non direi! La storia la facciamo tutti i giorni. Sui libri finiscono solo alcuni dei personaggi, ma in quanto esseri umani , in grado di intrattenere relazioni ,sono sicuramente stati influenzati da qualcuno. Preferisco pensare che una semplice interazione con una persona possa essere determinante nelle scelte che questa compie nei suoi successivi momenti di vita.-
-E tu chi hai influenzato? In cosa pensi di essere stato determinante?-
-Nel primo romanzo mi hai catapultato nel mezzo dei preparativi per la disfida di Barletta. Ettore Fieramosca può essere stato influenzato dalla mia presenza, dai miei racconti e suggerimenti. Lo stesso può essere successo per Messer Prospero Colonna. La stessa mia presenza a Barletta gli ha suggerito delle azioni che hanno poi preservato la sfida. Ricordi i contrasti tra Messer Colonna e Don Consalvo De Cordoba?-
-Si, li ricordo, ma quella è finzione!-
-Io preferirei considerarli degli esempi. –
-Spiegati meglio Raimondo-
-Un Romanzo storico è finzione, si, ma se è verosimile è un esempio. Non tanto di cosa sarebbe potuto succedere, ma di quello che potrebbe succedere in circostanze simili.-
-Quindi sei un fautore dello studio della storia per comprendere il futuro-
-Si! I meccanismi che regolano le scelte delle persone, gli eventi, i desideri, sono sempre gli stessi. Se la storia è verosimile è sufficiente contestualizzarla nel periodo attuale.-
-In questo modo si avrebbe la possibilità di vivere un deja vù?-
-Esatto! Compresi alcuni meccanismi li si può trasportare “ a spasso” nel tempo. L’importante è mantenere le dovute proporzioni. Un cavallo non sarà tale nel 2009, ma sarà un’automobile. Una spada sarà una pistola. Un duello, magari, una gara sportiva pregna di significato politico. Il gioco di potere che poi vi è alle spalle è spesso e volentieri invariato.-
- Fammi un esempio di ciò che può essere attualizzato. Parlami di un fenomeno che hai vissuto che può essere traslato ad oggi.-
-Il secolo nel quale vivete è caratterizzato dalla paura. Anche il precedente lo era e dopo quelle guerre gigantesche, che hanno incendiato tutto il mondo, è stata solo la paura a permettere al potere di mantenersi. Si è passato dalla paura dell’invasione Sovietica alla paura per il terrorismo internazionale. Ogni stato, nel suo piccolo, ha poi mantenuto dei fenomeni di terrorismo locale che ne hanno puntellato le leadership.
-Che cosa doveva temere il potere? Per quale motivo sono stati messi in moto simili meccanismi?-
-Il potere non ha timore di un qualche cosa di specifico. Ha paura di tutto perché ha tutto da perdere: Ha paura delle idee, ha paura delle novità ha paura del confronto, ha paura della critica e delle osservazioni. Il potere ha necessità, sostanzialmente, che le cose rimangano come sono, che il mondo non si evolva.-
-Ma il mondo non può smettere di evolversi! E’ la storia-
- E infatti lo fa, ma ai comodi del potere. Le tecnologie che servono si tengono, quelle che non servono o che potrebbero creare troppo squilibri si ignorano. E lo stesso vale per le idee. –
-Allora citami un evento storico che abbia un parallelismo con la vita di oggi-
-La paura del divino ha alimentato meccanismi che hanno arricchito il potere. L’utilizzo della religione come bastone o come carota ha permesso la nascita e la crescita del potere temporale della chiesa. Le masse ignoranti si affidavano alla preghiera, alla confessione fino ad arrivare all’acquisto delle indulgenze. Ciò ha permesso alla chiesa Romana di mantenere lo sfarzo, il lusso ed il potere. Il problema è che di tutto ciò ne hanno goduto solo in pochi. Innanzitutto geograficamente parlando, solo il centro ha tratto benefici da questo fiume di denaro. In secondo luogo solo un’elite di persone ha realmente gestito la ricchezza. Il ciabattino Romano o il mercante Fiorentino sono stati raggiunti dall’indotto di tale giro di soldi, ma il contadino tedesco o il mercante fiammingo (la periferia quindi) non traevano lo stesso vantaggio. E’ normale che dalle provocazioni di Lutero si sia passati in poco tempo alla nascita delle confessioni Anabattiste, Calviniste e Zwingliane. Ed è altrettanto comprensibile che da fenomeno religioso, si sia trasformato in fenomeno sociale, dando luogo a vere e proprie “rivoluzioni senza anima” come la rivolta dei contadini del 1524. In risposta a tutti questi avvenimenti la chiesa cattolica ha bollato di “eresia” tutto un complesso e giustificato meccanismo di protesta, alimentando la paura. In fin dei conti è come quando un regime odierno accusa di terrorismo un dissidente politico. A quel punto la repressione armata nei confronti suoi e dei seguaci è legittima e doverosa. In quel momento lo stato ricicla se stesso. E’ ciò che sta succedendo in Iran e che, con meccanismi più sotterranei, potrebbe succedere in qualsiasi paese ove l’informazione sia al servizio di una persona o di un gruppo ristretto.-
-Quale è il parallelismo quindi?-
-L’informazione manipolata. La chiesa influenzava le coscienze. La televisione e i giornali (ma molto più la televisione), possono creare un’ opinione artefatta, qualora venissero utilizzati in modo distorto. Dopo anni di “mala televisione” possono risultare alterati tutti i parametri necessari per farsi un’opinione. E’ una modalità subdola perché nessuno ti dice come devi pensare, è semplicemente un percorso che la tua mente intraprende pensando che sia frutto solo ed unicamente della tua coscienza. Invece è una opinione indotta, guidata.-
-Puoi fare un esempio?-
-Se per anni si impongono modelli di bellezza, successo, ferocia, prepotenza, denaro ad ogni costo a discapito della giustizia sociale e della solidarietà. Se poi l’individualismo uccide la coscienza collettiva, allora nel futuro le persone saranno programmate per pensare in una forma socialmente disgregante. E si sa che la disgregazione aiuta il potere.-
-Divide et impera!-
-Appunto!-
-Pensi che in Italia si corra qualche pericolo?-
-Penso di aver fornito il mio punto di vista. Le opinioni se le faccia il lettore-
-Hai comunque un consiglio per chi dovesse ritenere corretto ciò che hai detto?-
-Si! Leggete i libri!-
-E a chi non è d’accordo con te? Cosa aggiungi?-
-A maggior ragione….Leggete i libri. Basta un’ora di TV in meno al giorno e si possono leggere intere biblioteche.-
-Per oggi è tutto Raimondo. Grazie-
-Grazie a voi-

mercoledì 22 aprile 2009

Il Primo Inverno di Magdeline (cinque)

di Fabio Bertinetti


Magdeline era strana da alcuni giorni. Marco capiva che il primo inverno non sarebbe stato facile, ma occorreva solamente resistere: poi sarebbe arrivata la primavera. Era passato anche san valentino e le rose sul comò erano appassite in poco tempo. Molto strano. Il mazzo di rose che lui le aveva regalato aveva fatto quella fine, mentre un'altra rosa portata a casa da lei era ancora fresca e profumata.
Marco sapeva di doversi far perdonare la scenata di gelosia, ma era convinto che a lei sarebbe passata presto l'arrabbiatura. Ricordava ancora il furore provato nel vederla ballare in quel modo con uno sconosciuto, ma aveva capito che simili reazioni erano più dannose che altro.
Le si avvicinò per guardarla meglio. Magdeline lavava i piatti ed aveva un espressione tra il triste e l'impaurita.
-Posso chiederti una cosa?- disse la ragazza rompendo gli indugi
-Dime mi amor, que pasa?- chiese in spagnolo Marco
-Mi puoi descrivere tua madre? Come era fatta? E di che colore aveva i capelli? Erano corti?- chiese Magdeline con insolita curiosità. Marco rimase interdetto, non immaginava che in quel momento Magdeline potesse pensare a sua madre.
-Si! Aveva i capelli corti e neri! Perchè?-
Magdeline si asciugò le mani e prese tempo nel rispondere. Il suo volto, ora, nascondeva angoscia.
-Perchè l'ho vista!- disse la ragazza. Una pausa interruppe quel discorso surreale, quella risposta incomprensibile. Per un momento Marco pensò che la moglie si riferisse alla foto che era in camera.
-Era li sul divano qualche notte fà!- continuò Magdeline. Ora l'angoscia stava scomparendo e Marco si sentì sollevato, in un certo senso. Smise di pensare che potesse essere lui la causa dell'angoscia che trasmetteva Magdeline. Smise di pentirsi di quella scenata di gelosia.
-Mi sono alzata, per andare a bere.- continuò la ragazza -e ho visto una donna seduta sul divano.-
-E che faceva?- chiese Marco
-Nada! Non faceva nè diceva n-a-d-a. Io le ho chiesto chi fosse e lei si è alzata ed è andata verso la finestra. Poi è sparita.-
-E pensi potesse essere mia madre?-
-Era alta così - fece indicando una certa altezza con la mano -E sembrava simile alla foto.- continuò
-Avrai sognato amore. Avrai sognato-
-Non ho sognato! Ero sveglia e lo sai che posso vedere queste cose. Lo sai che sono magica. Mi sai dire se qualcuno è mai morto in questo appartamento?-
-Non lo so! Penso di no!-
-E allora era tua madre. Sai che "soy una Bruja"-
-Non so che dirti amore, ma per me hai solo sognato.-
Magdeline lo guardò fisso e poi rispose:
-Ricordi le rose che mi avevi regalato? Erano li accanto a dove è passata lei. La mattina dopo l'incontro le rose erano secche, come se fossero passati dei giorni. Quella laggiù, invece, è ancora viva; eppure ha molti più giorni delle altre. Come me lo spieghi?-
-Non lo so amore, ma per quale motivo mia madre dovrebbe seccare le rose che ti ho regalato?-
Magdeline abbassò gli occhi e rispose:
-Non lo sò- poi tornò a lavare i piatti. Aveva mentito quella sera la bella Magdeline:lei sapeva perfettamente il perchè di quella visita. La sua terra magica l'aveva abituata a simili accadimenti. Gli occidentali pensavano si trattasse di superstizioni non sapendo che a Cuba, neri e mulatti, hanno ancora un pezzetto di Africa dentro di loro. Forse fu quella sera, sommersa dai sensi di colpa, che Magdeline decise di andarsene

giovedì 1 gennaio 2009

Auguri!

Buongiorno a tutti.
Oggi nessun racconto. Volevo solo porgervi i migliori auguri per un 2009 migliore dell'anno passato, che vi sia piaciuto o meno.

Fabio