lunedì 12 ottobre 2009

La città punita - anteprima capitolo I-

Governolo, Mantova, 25 Novembre 1526



La sera si stava approssimando e le Bande Nere iniziavano a sentirsi a proprio agio. Ormai la tattica era sperimentata. Gli assalti notturni alle retrovie dei soldati Tedeschi avevano reso parecchio nei giorni passati, ed era venuto il momento di attaccare il grosso del contingente nemico.
L’obiettivo di Georg Frundsberg era di rinforzare l’esercito imperiale, impegnato con le forze della Lega, quello di Giovanni de Medici impedirlo a tutti i costi. Raimondo cavalcava nelle prime file, accanto a lui vi erano Lucantonio Cuppano e il capitano Giovanni De Medici. Pur essendo molto giovane, Giovanni, aveva già fama di comandante esperto e le sue Bande Nere erano l’unico reparto militare che in quei giorni aveva avuto l’ardore e l’ardire di affrontare i Lanzichenecchi.
Le forze nemiche erano scese dalle pianure Tedesche qualche settimana prima e l’esercito della Lega di Cognac, comandato dal Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, aveva preferito ritirasi da Milano e dirigersi verso Marignano. Giovanni dalle Bande Nere si era rifiutato di seguirne la ritirata preferendo fare di testa sua.
- Capitano!- Esclamò Raimondo a voce bassa
- Dimmi Amico mio - Rispose Giovanni
- Stavo pensando allo scherzo che ci hanno tirato i Gonzaga. Forse in questa guerra abbiamo troppi nemici-
- Cosa vuoi dire?-
- L’affronto di ieri notte Giovanni!-
- Non ti preoccupare, quando avremo vinto questa guerra, la pagheranno. Dovranno pur trattare con Sua Santità il momento in cui gli Imperiali saranno cacciati dall’Italia -
- Non mi preoccupo del futuro, ma del presente-
- Non ti deve intimorire la battaglia Raimondo. Ne hai combattute parecchie al mio fianco e sai come riusciamo a colpire con rapidità. Ben conosci come riusciamo ad essere devastanti.-
- Non mi curo della battaglia. Ho una fiducia smisurata in questi uomini. Senza contare che i Tedeschi ormai ci temono. Da giorni stiamo colpendo le loro vettovaglie. Li cogliamo all’improvviso di giorno e di notte. Non hanno mai il tempo di ingaggiarci e sconfiggerci. Mi preoccupo delle trame che possono essere ordite alle nostre spalle. Ti dico per esperienza che le alleanze si tessono e si sciolgono con la stessa velocità di un batter di ciglia. Ieri hanno sollevato il ponte levatoio di Borgoforte per impedirci di assalire i Tedeschi. Posso anche capire la necessità di un piccolo stato di collaborare con l’impero e far passare i soldati sul proprio territorio, ma impedire il passaggio a noi è un segnale che non mi piace. Per non parlare poi dei falconetti che Alfonso d’Este ci aveva promesso e che non sono mai arrivati-
- L’importante è che siamo passati Raimondo. Per quel che riguarda le artiglierie, faremo in modo che non ci servano. Ora però silenzio, anche se siamo sottovento non voglio rischiare che i nemici ci sentano-
Giovanni fece un cenno e tutta la colonna si fermò. Avanti c’erano i cavalieri in armatura, equipaggiati con armi da urto e corazze brunite per confondersi nella penombra. Più dietro vi erano gli archibugieri a cavallo, soldati che smontavano quando era il momento di combattere e risalivano in sella quando era il momento di fuggire. Entrambi erano montati su cavalli Arabi, piccoli e veloci animali che favorivano la rapidità dell’azione.
Uno degli esploratori in quel momento tornò e si fermò di fronte al Capitano, facendogli cenno di seguirlo. Passarono alcuni minuti, quindi si giunse in vista di una fornace presso la confluenza tra il Po e il Mincio.
Giovanni chiamò a sé Lucantonio e gli diede delle istruzioni semplici ma efficaci, poi chiamò Raimondo e gli disse:
-Stammi vicino!-
Raimondo annuì rimanendo accanto a quel condottiero più giovane di lui, che si comportava come il più anziano ed esperto dei comandanti.
Giovanni de’Medici si pose in testa alle truppe in armatura allontanandosi dalle forze nemiche, mentre Lucantonio Cuppano prese il comando degli archibugieri a cavallo facendosi sotto ai Tedeschi.
Il movimento degli Italiani non passò inosservato. Georg Frundsberg accortosi del pericolo fece disporre alcuni dei suoi in ordine di battaglia, lasciando ai più l’incombenza della marcia. Lucantonio fece avvicinare i fanti con la precisa volontà di attirare su di se l’attenzione del nemico. Quando ritenne di essere alla giusta distanza, diede ordine ai suoi di aprire il fuoco. In breve gli uomini scesero da cavallo e iniziarono a sparare sui Lanzichenecchi, che disposti in ordine chiuso per difendersi dalla cavalleria, erano un bersaglio facile. Anche dalle file Tedesche partirono palle di archibugio, ma gli Italiani dispersi sulla pianura risultavano difficili da inquadrare anche a quelle distanze non proibitive.
Non c’era fuoco organizzato da parte Italiana e non vi era neppure il preciso intento di abbattere quanti più soldati possibile. Il vero scopo di Lucantonio era costringere i nemici a disperdersi per poter favorire la carica di Giovanni. Lo scambio di colpi fu breve; con l’approssimarsi dell’oscurità il Capitano de Medici partì all’attacco e con lui Raimondo. Il drappello di Tedeschi fu investito sul fianco ed in breve si disperse lasciando sul terreno morti e feriti. Raimondo si lanciò all’inseguimento di chi fuggiva, mentre dalle retrovie truppe fresche venivano organizzate dal Frundsberg per resistere alla carica e dare riparo ai compagni.
In breve il Capitano De Medici tornò in testa ai suoi e si accinse a caricare anche la seconda linea di picchieri, mentre i suoi archibugieri erano rimontati a cavallo e sparavano dagli animali contro ogni Tedesco che avesse un’arma da fuoco. Sembrava una vittoria netta, ma fu solo un’illusione.



Herbert Maier non aveva ancora utilizzato quel falconetto, ma era convinto di riuscire a governarlo nel momento in cui fosse stato chiamato a farlo. Erano giorni che gli Italiani non davano tregua a lui e ai suoi compagni e quel modo di combattere insidioso e disonorevole prima o poi avrebbe comportato loro più danni che vantaggi.
Lo scontro che si stava svolgendo non sarebbe stato come quelli dei giorni precedenti Questa volta lui e i suoi compagni avevano un’arma in più da poter utilizzare. Mentre ordinava ai suoi uomini di spingere il pezzo verso il forno, ripensava a come l’anno precedente aveva visto gli Spagnoli abbattere i Cavalieri Francesi a colpi d’archibugio. In quell’occasione era stato sconfitto e catturato Francesco I re di Francia, ora quel giovane comandante Italiano non poteva sperare di riuscire dove un grande re aveva fallito.
-Non è più tempo per i cavalieri - Disse con estrema calma ad uno dei suoi uomini, poi aggiunse:
-Dite agli Italiani di caricare il cannone-
I genieri ricevettero l’ordine in Italiano e subito si accinsero ad inserire nella bocca del falconetto la palla di ferro che avrebbe risolto lo scontro. Non ci misero molto ad armare il pezzo, e ormai il drappello di Diavoli Neri aveva investito un quadrato di picchieri e si accingeva a caricare le seconde linee. Ancora uno sforzo e il pezzo venne spinto di fianco al forno, uscendo dalla posizione nella quale si trovava: nascosto alla vista del nemico, ma abbastanza vicino da poter essere utilizzato. Il comandante Frundsberg ordinò che il quadrato di picchieri si aprisse per lasciar sparare il pezzo. L’ordine venne eseguito alla perfezione e davanti a se Maier trovò proprio il Capitano nemico. Un urlo in tedesco e la miccia venne accesa dai genieri che Alfonso d’Este aveva fornito ai tedeschi, insieme alle artiglierie. Le stesse che erano state promesse a Giovanni, ma che all’ultimo momento erano state vendute al più forte dei due contendenti.


Raimondo vide aprire le file dei tedeschi e per un momento non realizzò bene cosa stesse succedendo. Partì il colpo e Giovanni, a pochi metri da lui, cadde da cavallo come spinto da una forza sovrumana. Lo sgomento colpì le forze Italiane, che per un attimo smisero la carica per cercare di capire cosa stesse succedendo. Lucantonio diede ordine ai suoi di avvicinarsi ancora al nemico e continuare a sparare. Raimondo fece fare al cavallo un paio di giri su se stesso, sempre guardando quell’armatura a terra che sembrava vuota di vita. Riprese poi la carica. I cavalieri Italiani lo seguirono e investirono anche il secondo gruppo di Tedeschi, mentre il falconetto veniva nuovamente spinto lontano dal luogo della battaglia. Perse tempo l’esperto soldato ingaggiando un furioso corpo a corpo con i picchieri nemici e non riuscì a raggiungere il cannone inghiottito dall’oscurità. Quando gli Italiani ebbero la meglio, ormai il grosso delle forze nemiche era riuscito a sganciarsi. Raimondo sapeva benissimo che Giovanni avrebbe tentato l’inseguimento per poter abbattere quanti più nemici possibile, e si sarebbe sganciato solo quando il nemico si fosse fatto più reattivo, ma non poteva dare fondo all’azione con il suo Capitano a terra. Si diresse al trotto verso la zona dove aveva visto cadere il suo amico, e riuscì ad individuarla solo perché altri compagni si erano già fermati a soccorrerlo. Era ancora steso, ma gli era stato tolto l’elmo, e quando si avvicinò, nonostante il buio, vide che i suoi occhi erano aperti.
-Giovanni! Sei vivo!- Disse con stupore
-Inseguili!- Disse il De’ Medici con voce affannata
-Sono andati Giovanni. Abbiamo vinto anche questa volta-
-Non c’è vittoria se non li fermiamo!-
-Li fermeremo domani. Fatti aiutare, fa che ci possa essere un domani da combattere- gli disse Raimondo
-Combattiamo subito! Rimettetemi in sella svelti! Li dobbiamo raggiungere!-
-Non sei in condizioni di combattere Giovanni!-
-Do io gli ordini Raimondo! Non ti approfittare della nostra amicizia!- poi chiamò il suo secondo:
-Lucantonio! Lucantonio! Dove sei?- urlando disperatamente
-Sono qui Giovanni, come stai?-
-Li dobbiamo inseguire! Rimettimi in sella svelto!-
Lucantonio Cuppano guardò Raimondo e senza parlare capirono il da farsi. Quattro uomini in armatura nera alzarono Giovanni da terra, facendo attenzione a non toccargli la gamba destra. Riuscirono ad issarlo in sella, quindi videro che il colpo di cannone aveva sfondato l’armatura e gli aveva fracassato lo stinco.



Nell’ampia scalinata della casa di Luigi Gonzaga risuonava il metallo delle armature. Un gruppo di cavalieri era appena entrato e dopo aver consegnato i cavalli agli stallieri della dimora si dirigeva con passo veloce verso la stanza ove era sistemato il capitano De’ Medici. Raimondo aveva l’elmo sotto il braccio destro, mentre con il sinistro faceva eloquenti gesti al drappello che lo seguiva indicandogli di sbrigarsi. Erano riusciti a trovare Maestro Abramo il medico di origine Ebraica che già mesi prima aveva curato Giovanni alla stessa gamba, per un colpo di archibugio ricevuto davanti a Pavia durante una scaramuccia. Il giovane De’Medici si addolorò alquanto per quella ferita che gli impedì di partecipare alla grande battaglia del febbraio del ’25. Questa volta sembrava più grave. Le tre libbre della palla di falconetto gli avevano ridotto l’arto in condizioni pietose e la stessa armatura, squarciandosi , era penetrata nelle carni contribuendo all’infezione. Mentre Raimondo percorreva la distanza che lo separava dal suo amico, era consapevole che l’unico modo per strapparlo da morte certa sarebbe stata l’amputazione. La porta si spalancò repentinamente e gli uomini che erano al capezzale del capitano si allarmarono, pensando a chissà quale irruzione, poi si tranquillizzarono vedendo Raimondo.
- L’hai trovato?- gli disse subito il Cuppano
- Eccolo e’ lui!- fece Raimondo indicando il medico
- Maestro!- disse Giovanni con voce sofferente, poi aggiunse:
- Sono felice di vedervi , spero che possiate ripetere il prodigio della volta scorsa perché ho ancora voglia di salire a cavallo e menare le mani!-
- Figliolo! E’ una brutta ferita- rispose laconico il medico.
- Siamo riusciti a togliere l’armatura con molta fatica Maestro- aggiunse Raimondo indicando il pezzo di ferro che ancora giaceva in terra.
- Quando è stato ferito?- chiese Abramo
- Ieri sera Maestro. Non siamo riusciti a trovarvi prima. Abbiamo avuto problemi con il signor Duca che prima non ci ha concesso rifugio a palazzo e poi ha temporeggiato sulla richiesta che foste chiamato. Lo abbiamo trasportato in lettiga sotto una bufera di neve. Ha rischiato di morire assiderato, ora rischia la cancrena. Faccia qualcosa -
- Non c’è molto da fare Cavaliere. Lasciate che prenda i ferri- Così dicendo si voltò verso la porta e fece cenno ad un ragazzo. Questi gli porse una pesante borsa di cuoio entro la quale vi erano attrezzi da lavoro simili quelli di un falegname.
- Dovrete tenerlo forte. Il Capitano De’Medici e’ un uomo vigoroso e se non doveste riuscire a tenerlo ben fermo, rischiamo di fare più danno del necessario.
- Non basteranno venti uomini per tenermi fermo!- disse Giovanni tra il serio e il faceto. Poi aggiunse :
- Se sarete tutti impegnati a reggermi, chi terrà il candelabro per far luce?- e senza dare il tempo ad alcuno di rispondere, prese il pesante manufatto e lo avvicinò alla gamba per far luce lui stesso.-
Come previsto i sei uomini si rivelarono pochi per reggere il Capitano in preda a dolori atroci nel momento in cui Maestro Abramo si dedicò al taglio dell’arto. Chiunque avesse un braccio libero si adoperava a stringere forte il De Medici, poi dopo interminabili minuti il medico ebbe terminato il lavoro e si adoperò a cauterizzare la ferita con olio bollente. Il volto del Capitano era madido di sudore, e in bocca aveva ancora quel pezzo di cuoio che qualcuno gli aveva infilato all’ultimo momento. Raimondo si avvicinò all’infermo ansimante per lo sforzo sovrumano, e gli disse:
- Sei stato sempre il solito coraggioso Capitano. Vedrai che presto sarai di nuovo a cavallo a bastonar nemici.-
- I tedeschi hanno di che preoccuparsi. Questa volta mi hanno fatto arrabbiare Non pensino che una gamba in meno possa fermarmi. Non sanno che le ferite e la perdita di membra sono medaglie e collane dei familiari di Marte-
- E tu ne hai più di tutti Giovanni! Ora dormi che sei molto provato. Non pensare ai sogni di gloria. Lascia rilassare le tue membra.-
Giovanni De’Medici sorrise e si abbandonò alla stanchezza. L’addormentarsi fu così repentino, che i presenti credettero fosse successo l’irreparabile. Raimondo lesse lo sgomento negli occhi degli altri cavalieri, poi disse:
- Si è addormentato-



Il Duca D’Urbino, Francesco Maria della Rovere, venne svegliato di buon ora da un suo attendente. Un uomo a cavallo portava notizie del Capitano De Medici. Il Duca aveva posto il campo nei pressi di Borgoforte, proprio dove alcuni giorni prima erano passate le forze tedesche di Georg Frundsberg. Aveva detto più volte che se i nemici avessero passato il po , anche lui lo avrebbe fatto e non gli avrebbe dato tregua neppure per un minuto. Nei giorni precedenti si era gettato all’inseguimento dei tedeschi, o meglio aveva lanciato quello scalmanato De Medici addosso al nemico. Ora era impaziente di conoscere le ultime novità in merito allo scontro che un paio di giorni prima le bande nere avrebbero dovuto aver ingaggiato con i Tedeschi.
- Eccellentissimo Duca! Il Capitano Giovanni De’Medici è stato ferito in battaglia da un colpo di artiglieria. Attualmente è a Mantova con una gamba amputata.-
Questo fu il laconico resoconto del messaggero e il Duca non sapeva se essere più contento o più dolersi. Congedò il soldato e si ritirò nella sua tenda.
- Ci sono notizie dei Tedeschi?- chiese al proprio attendente
- Abbiamo inviato delle staffette. Non sono ancora di ritorno, entro poche ore dovremmo essere in grado di sapere dove hanno intenzione di dirigersi.-
- Penso di saperlo già !- rispose il Duca
- Pensa si tratti sempre di Bologna?-
- O Bologna o Modena, in ogni caso sono due città dove può tentare di arruolare altri soldati.-
- Allora che sia il caso di agganciarli subito e distruggerli? -
- Forse no!-
- E perché no?-
- Anche se i Tedeschi riescono ad arruolare altri soldati, difficilmente potrebbero mantenerli e stipendiarli tutti. Gia ora hanno seri problemi e i loro soldati non ricevono la paga da giorni. Più passa il tempo e più le forze imperiali rischiano di disfarsi. Se aggiungiamo poi che le forze Spagnole di Carlo di Borbone sono a Milano, ci rendiamo conto che inseguendo i Tedeschi rischiamo di lasciare il campo agli Spagnoli per assalire Venezia, e si sa che il senato di questa città è quello che comanda in questa campagna.-
- Quindi?-
- Quindi non ci interesserà sapere se Frundsberg, varcherà o meno il Po. Quello che mi interessava l’ho già saputo-
- E cosa?-
- Che il Capitano De Medici è fuori gioco per un po’, quindi non ho più teste calde che possano pregiudicare l’equilibrio che intendo perseguire.-
- Vuole aspettare che le forze nemiche si sfaldino da sole?-
- Esatto, poi quando si saranno sciolte come la neve al primo sole, andremo a raccogliere ciò che rimane.-
- Quindi che si fa? E Soprattutto cosa dirà a Sua Santità? Ora tra Roma e i Luterani non c’è alcun esercito-
- Non penso che arriveranno fino a Roma. E comunque noi diremo che torniamo a Mantova in attesa di ordini del senato Veneziano. Fai muovere gli uomini. Si torna in città-



La fiamma era una girandola di colori. Il rosso brillante, il giallo, l’azzurro e degli sprazzi di bianco distraevano Raimondo inducendolo a soffermarsi da parecchi minuti sul fuoco acceso. Mille pensieri gli giravano per la testa, fino che non venne scosso dal bussare alla sua porta.
-Chi è? - Urlò quasi stizzito
-Son Pietro!- rispose una voce conosciuta.
-Entra pure!-
-Raimondo, come stai?-
-Sono confuso Pietro! Sono proprio confuso!-
-E’ stata una perdita immensa, sia per i suoi uomini che per l’intera Italia. Se mai ci potesse essere stato qualchuno in grado di condurre eserciti contro lo straniero, quello sarebbe stato proprio Giovannino. -
-Hai detto bene! Giovannino!. Così giovane eppure così pieno di coraggio, di sapienza tattica, di perizia nel combattere. Non c’era nessuno che potesse batterlo in battaglia o in duello. Eppure qualcuno pagherà per quelle artiglierie date ai tedeschi.-
-Il Ducato D’Este è uno stato minuscolo. Ha dovuto fare un favore all’Imperatore per potersi sentire più al sicuro. Magari domani farà un favore al Papa, oppure si riprenderà le artiglierie. In questo modo sarà stato utile ad entrambe le parti senza però schierarsi mai.-
-Non basterebbero cento Giovanni che conducessero un esercito di milioni di uomini, se poi gli intrighi la fanno da padrone. Quando mai i principi Italiani riuscirebbero ad unirsi, quando ognuno di loro è pronto a tradire?
-E’ per questo che l’esempio di Giovanni è ancora più prezioso.-
-Chi ci ha parlato per ultimo?- chiese Raimondo cambiando discorso
-Io! Ci ho parlato per alcuni minuti, prima che perdesse le forze e la vita.-
-Ha detto che fare con le Bande?-
-Le guiderà Lucantonio, ma non penso sarà la stessa cosa. Ti ricordi a Pavia lo scorso anno?-
-Certo che me lo ricordo. Giovanni era stato ferito e non potè partecipare alla battaglia. Noi eravamo il fantasma delle Bande Nere. Irriconoscibili.-
-Eravate male utilizzati. Sulla difensiva come un qualsiasi gruppo di fanti. Giovanni avrebbe preso l’iniziativa sottraendola al nemico.-
-Tu che farai ora?-
-Cosa farò io, non lo so. Però so cosa farai tu!-
-Che dici Aretino? Giovanni ti ha detto qualcosa di me?-
-Mi ha dettato il testamento, che io da buon uomo di lettere ho trascritto. Ha nominato suoi eredi universali la moglie Maria e il figlioletto Cosimo, che come tali riceveranno anche i debiti.-
Raimondo sorrise all’affermazione di Pietro L’Aretino, poi aggiunse:
-Con tutte le donne sparse per l’Italia, penso ne siano rimasti pochi di soldi per la famiglia. Se era un comandante devoto, altrettanto non si può dire lo fosse come padre o come marito.-
-Era…esuberante!- sottolineò lo scrittore ridendo. Poi aggiunse.
-Raimondo, proprio di quest’ultimo argomento ti volevo parlare.-
-Quale argomento? Le donne di Giovanni?-
-Non le donne. Una sola donna. Non nel generale, ma nel particolare.-
-Dimmi!-
-Vedi Raimondo, a Roma c’è una certa Giulia che in più occasioni è stata molto vicina al nostro comandante e della cui incolumità Giovanni, si andava preoccupando.-
-Perché? Chi gli vuole fare del male?-
-Nessuno in particolare, ma vedi , Giovanni era certo che senza di lui nessuno avrebbe inseguito i Lanzichenecchi cercandone la distruzione. Si preoccupava in particolare di due città, che riteneva fortemente minacciate dalle forze Tedesche.-
-Una è Roma vero?-
-Certo! Una è la città del Papa. Tu sai quanto questi Luterani ce l’abbiano con la chiesa Romana sostenendo che è il principio di tutti i mali, e denunciandone tutti quegli usi e abusi che la caratterizzano.-
-E gli dai torto?- lo interruppe Raimondo
-Ah! per chi mi hai preso? Non ti ricordi per quale motivo venni cacciato da Roma?-
-Le tue statute parlanti!-
-Esatto, ad Adriano VI (pace all’anima sua) quella statua di Pasquino non gli è proprio piaciuta- e sorrise. Dopo alcuni secondi riprese il filo del discorso:
-Come ti dicevo, una città è Roma e l’altra è Firenze. Entrambe sono molto vicine alla Santa Romana Chiesa, e adesso che c’è un’altro De’Medici come Papa, le cose per Firenze non migliorano di certo.-
-E io dovrò andare a Roma al posto tuo,dato che tu sei dovuto fuggire.-
-Esatto. A Roma dovrai fare due cose, una per me e una per il povero defunto Capitano-

venerdì 2 ottobre 2009

Anglocomunisti?

Riporto da you tube:
"Nel programma satirico trasmesso dalla BBC Mock the week i comici in studio parlano di Silvio Berlusconi e delle sue battute su donne e terremotati d'Abruzzo. Il programma è stato sottotitolato dal sito www.italiadallestero.info"

questa è la storia di oggi. Una storia molto triste. Click sul titolo e amare risate.