sabato 30 agosto 2008

Il Viaggio di Raimondo Capitolo I

I
Capua 22 Luglio 1501

La vista dal bastione era la stessa da cinque giorni: circa trentacinquemila uomini al comando del Generale Bernard D’Aubigny avevano posto il campo a circa un miglio dalle mura e stavano assediando la città. Il Capitano Prospero Colonna guardava preoccupato lo spettacolo imponente e cercava un punto debole nello schieramento nemico utile ad una sortita notturna.
-Capitano Colonna!-
Il grande Condottiero si girò di scatto, allarmato dal tono di voce di chi lo chiamava.
-Che succede?- rispose con voce talmente forte da arrivare chiaramente alla base del bastione.
-E’ arrivato un messo con una missiva per voi –
-Un messo? Buon dio! Come avrà fatto a passare oltre le forze Francesi?-
Il soldato rispose:
-Correva come se avesse l’inferno alle spalle. È entrato dalla porta che guarda a sud. Era inseguito, ma il Fieramosca ha fatto lanciare i balestrieri che hanno colpito un cavaliere Francese. Gli altri temendo per la vita, hanno desistito dall’inseguire.-
-Bene! Vengo a vedere – disse il Colonna accingendosi a scendere dal bastione.
Il messaggero era smontato da cavallo ed in ginocchio beveva da un vaso. Appena vide il Comandante del presidio si alzò in piedi e restituì il vaso ormai vuoto al soldato che gliel’aveva consegnato.
-Hai una lettera per me?- disse laconico il Colonna
-Ecco a lei Capitano- rispose ossequioso il soldato. Prospero prese la lettera e guardò con attenzione il messaggero; vide che era poco più che un ragazzo.
-Come ti chiami soldato?-
-Ubaldo Gregari , signore-
- Sei giovane! quanti anni hai?-
-Abbastanza per non farmi prendere dai Francesi, Capitano- rispose il ragazzo con orgoglio, e poi sorrise.
Prospero gli diede una pacca tra collo e spalla, poi diede ordine ad uno dei soldati di rifocillarlo. Lo osservò per un poco mentre, accompagnato dal soldato, si dirigeva verso le cucine con passo stanco, poi ruppe il sigillo e aprì la lettera.
Rimase impassibile, anche se l’ordine che era arrivato non gli piaceva affatto. Si diresse quindi verso quello che era diventato il quartier Generale e diede ordine di convocare i propri capitani.
Una volta arrivato nella stanza momentaneamente vuota, si sedette su una sedia di legno e rilesse la lettera come per essere sicuro degli ordini ricevuti. Di lì a poco arrivarono Il conte di Caiazzo, Ettore e Guido Fieramosca, Ettore Giovenale e Il cugino Fabrizio Colonna, Gran Connestabile del regno di Napoli. Prospero guardò il cugino e gli porse la lettera che aveva appena ricevuto. Nel silenzio Generale Fabrizio lesse con molta attenzione e con estrema sicurezza esclamò:
-Ci arrendiamo!- e rimase in silenzio a guardare i capitani. Dopo pochi secondi una serie di osservazioni tempestarono i Colonna, e il vociare divenne sempre più incomprensibile: si parlava di pazzia, di disonore, e tutti erano increduli di una simile scelta. Prospero allora prese la lettera del Re, dalle mani del cugino e la gettò sul tavolo.
-Ci dobbiamo arrendere, è un ordine del Re in persona!- tuonò.
Dopo una pausa riprese a parlare:
-Ordina di consegnare la città e di ritirarci a Napoli. Ha necessità di una forza militare intatta per difendersi dai baroni che gli sono ostili. Senza considerare poi la minaccia dei Turchi. L’ordine è chiaro e non va né discusso nè negoziato. Vi ho voluto avvertire per rispetto di come durante questi giorni mi avete servito e per come avete difeso le mura dall’assalto Francese. Avrei voluto permettervi più gloria, ma non è più possibile. Come sapete il mio intendimento era quello di costringerli ad un altro assalto o a smontare le tende e togliere l’assedio, ma dobbiamo attenerci a quanto ci è stato ordinato!-
-Proviamoci Capitano – disse uno dei Fieramosca.
-Non è negoziabile Messer Fieramosca. So che i suoi balestrieri farebbero strage dei Francesi, come so che il Capitano Giovenale, il vostro fratello Ettore, e tutti gli altri cavalieri, caricherebbero volentieri e a più riprese i Francesi, ma questi sono gli ordini. Sono figli di un calcolo politico che a noi non compete discutere.

Fabrizio riprese la parola:
- Domani mattina io, Prospero e il Conte di Caiazzo tratteremo i termini della resa. Per voi e per tutti i tremila difensori ci sarà la salvezza a Napoli.-
-Ma non ci sarà l’onore!- Rispose Ettore Fieramosca guardando con aria di sfida il Capitano. Prospero impassibile gli rispose:
-I vostri ventisei anni vi spingono all’azione, i miei quarantanove mi spingono alla ragione e all’obbedienza Capitano. Così sara!-
Fece un cenno di intesa a Fabrizio, che ricambiò, poi i due Colonna e il Conte di Caiazzo uscirono dalla stanza.

Il sole di luglio era alto nel cielo, e nel campo Francese la calura costringeva i più a rifugiarsi dentro i padiglioni. Fuori c’erano solo i soldati sufficienti per la guardia. L’atmosfera era funerea: la cocente sconfitta subita i giorni precedenti, aveva reso i soldati poco fiduciosi in una rapida soluzione dell’assedio. Le consistenti perdite subite, davano la certezza di dover attendere l’arrivo delle artiglierie per poter smantellare pezzo per pezzo le mura. Solo dopo il crollo dei bastioni l’assalto sarebbe stato possibile. Vitellozzo Vitelli, uomo di fiducia del Duca Valentino calpestava la terra ancora intrisa dal sangue dei feriti che solo tre giorni prima giacevano a centinaia in attesa delle cure dei medici. Vitellozzo zoppicava vistosamente colpito alla coscia da una delle tante “quadrella” che erano piovute sulle schiere Francesi. Il Vitelli era consapevole di essere stato fortunato: lui era stato ferito ad una gamba, gli altri tre comandanti dell’assalto avevano perso la vita crivellati dai dardi.
Vitellozzo entrò nella tenda del Duca dopo essersi annunciato a voce, trovandovi il Valentino in piedi e in procinto di indossare le vesti. Stesa sul giaciglio c’era una ragazza di neanche vent’anni: una delle tante prostitute al seguito degli eserciti in cerca di un occasione per sopravvivere.
-Si sono accordati Cesare- Disse il Vitelli non facendo caso più del dovuto alla presenza femminile.
Cesare Borgia, Duca di Gandìa e di Valentinois, ex cardinale e figlio del Papa Alessandro VI, fece cenno alla ragazza di uscire, attese il tempo necessario e poi rispose:
-Quali sono i termini?-
-D’Aubigny ha chiesto 80000 ducati, ma alla fine si sono accordati per la metà –
-Quarantamila ducati? Bene bravo D’Aubigny che giunge a patti senza interpellarmi. E a quando il lieto evento? –
-Domani nel primo pomeriggio si presenteranno alla porta principale con il denaro e noi lasceremo andare tutti gli uomini di Prospero Colonna.
Non torcemo un capello agli abitanti di Capua-
-Noi?- Rispose il Borgia alzando la voce :
-Io non ho preso accordi con nessuno! Non giungo a patti con i Colonna, - specie quando ho già in mano la città.-
-E allora? che volete fare Duca?-
-Ho due terzi delle forze ai miei ordini e non ho alcuna intenzione di lasciare al D’Aubigny una città che per accordi con il re di Francia doveva essere mia. Se le città non cadono con gli assalti, o non muoiono con gli assedi, come si fa?- Disse il Valentino con fare retorico
Con le artiglierie? – Rispose il Vitelli dubitando che la risposta potesse essere così semplice.
C’e una quarta via per prendere una città- Rispose il Duca con un sorriso enigmatico uscendo dalla tenda.

Fabrizio Ridolfi era l’ufficiale più alto in grado e in quel momento presidiava le mura. Ormai mancavano solo un paio di ore al momento della resa. Le forze colonnesi sarebbero uscite dalla porta che dava verso Sud, mentre i Francesi, con il D’Aubigny, sarebbero entrati dalla porta nord e avrebbero preso possesso della città in nome di Luigi XII re di Francia. Il Ridolfi osservava le forze Francesi che si avvicinavano alla porta. Oltre al D’Aubigny nelle prime file si trovava anche il Borgia in sella al proprio cavallo. Nella città le forze colonnesi si erano già radunate e attendevano solamente l’ordine di mettersi in marcia verso Napoli. Cesare Borgia aveva un particolarmente in odio sia i Colonna, fieri oppositori del padre, che il re Federico. Capua sembrava un’occasione d’oro per vendicarsi del re di Napoli e per punire i Colonna responsabili delle continue interferenze allo strapotere papale.
Dai bastioni Fabrizio Ridolfi riusciva a vedere il volto del Valentino: un volto orribile deturpato da quella malattia venerea che i Francesi chiamavano “male Italiano” e gli italiani “male Francese”. Ad un cenno del Duca, il Ridolfi assentì, gettò con decisione ciò che rimaneva della mela che stava mangiando, e si diresse verso gli uomini di guardia alla porta. Estrasse un pugnale e lo conficcò nella nuca di uno dei soldati che la presidiavano: era il segnale per l’inizio della strage; gli altri cinque uomini che lo seguivano, estrassero le spade e colpirono i restanti tre. Le grida degli uomini non riuscirono a raggiungere i soldati riuniti nella piazza, tanto erano distanti, e sulle mura non c’erano altri che gli uomini fedeli al Ridolfi. Le porte vennero aperte e nello stupore del D’Aubigny, gli uomini del Borgia si precipitarono all’interno con impeto ma in assoluto silenzio. Il Generale Francese gridò:
-Che succede? Chi vi ha dato l’ordine? Fermi!!- ma subito si accorse che anche i propri uomini si infilarono nel varco. In breve, chi per spirito di emulazione, chi per paura di non trovare nulla da saccheggiare, Francesi e Italiani irruppero nella città e iniziarono la strage. I colonnesi videro le forze nemiche avanzare dentro la città come l’ondata di un fiume in piena e non ebbero il tempo nè la presenza di spirito per reagire.
In poche ore più di duemila uomini vennero massacrati, le donne violentate e tutto ciò che poteva essere preso, finì nelle mani delle forze del Duca. Solo chi poteva garantire un riscatto venne tenuto in vita: I Fieramosca, il conte di Caiazzo, i due Colonna e pochi altri capitani. Il Borgia ebbe la meglio opponendo alla perizia e all’onestà dei suoi nemici, inganno e crudeltà.
Cesare entrò nell’ alloggio che era stato dei cugini Colonna e che ora era diventato la loro prigione. I due Erano guardati a vista da otto soldati .ed erano stati disarmati e spogliati delle armature che indossavano al momento della cattura. Quella di Prospero era lucida quasi da potersi specchiare e aveva degli intarsi in oro di eccellente fattura che lo rendevano sempre riconoscibile anche nelle fasi più convulse di una battaglia. Ora però giaceva in un angolo della stanza; Il duca si soffermò davanti a Prospero e sorrise soddisfatto. In quel momento gli si accostò il fedele Vitellozzo che guardò i due cugini, ma che non riuscì a sostenere lo sguardo fiero di Prospero. Il duca lo salvò dall’ imbarazzo del silenzio esclamando:
-Hai capito la quarta via?-
-L’inganno? – rispose il Vitelli, preferendo guardare il viso deturpato del Valentino che lo sguardo insostenibile del Colonna
- Inganno? Oh no! Che brutto termine- disse fingendo disappunto e continuò :
- Preferisco chiamarlo sotterfugio: e’ quell’ operato di intelligenza che ti permette di vincere le battaglie senza combattere, di sconfiggere il nemico senza perdere un uomo ed essere così pronto per un altro scontro già il giorno dopo. Il massimo risultato con il minimo sforzo.-
Il Borgia disse tutto ciò con la stessa calma e convinzione di un maestro che insegna ad un allievo. Era estremamente soddisfatto dei risultati conseguiti: aveva preso Capua, catturato i Colonna e ridotto all’impotenza Re Federico. Era riuscito anche a placare l’ira del Generale D’Aubigny. Il Francese, si era sentito scavalcato dalla decisione unilaterale del Borgia di usare dei traditori per entrare in città; visto che lui stesso aveva dato la propria parola ai Colonna che avrebbero avuto via libera per Napoli. Cesare, però ,lo placò sottolineando gli enormi guadagni che il saccheggio della città aveva fruttato.
Per se il Duca aveva riservato unicamente la soddisfazione della vendetta, la città di Capua, e il riscatto che i Colonna, e i Fieramosca avrebbero pagato per la propria liberta. Cesare Borgia uscì dall’alloggio con un ghigno di infinita soddisfazione che, insieme ai segni della malattia, donavano al viso un’aria malvagia. Si soffermò su un ballatoio che affacciava sulla città ,ammirando la sua più recente e meno faticosa conquista. Il ghigno si trasformò in risata. Eh si, quello era proprio un gran giorno!

mercoledì 20 agosto 2008

Il nostro futuro

Articolo (vero) del TgCom 20/08/2008

Figlio comunista tolto a madre

Tribunale Catania: gruppo di estremisti

Un adolescente catanese è stato tolto alla madre e affidato al padre perché è un militante di Rifondazione comunista. Polemiche per la decisione del Tribunale etneo che, tra le motivazioni del provvedimento, ha sottolineato l'appartenenza politica del ragazzo. Per i giudici e per gli assistenti sociali il 16enne frequenta un gruppo di "estremisti". Protesta la sinistra: "E' una caccia alla streghe".
La madre, racconta "Repubblica", secondo i giudici non saprebbe badare all'educazione del figlio. Il giovanotto in questione frequenta un luogo dove "è diffuso l'uso di sostanze alcoliche e psicotrope", vale a dire dove si beve alcol e si fumano spinelli. Il 16enne, racconta la donna, sotto pressione per la separazione tra i genitori, non andrebbe punito per quella che è una sua passione, la politica.Nell'ordinanza del Tribunale si rimprovera, di fatto, alla madre di non prendersi abbastanza cura del figlio. Come anche di aver nascosto al marito, a cui sarà affidato anche l'altro fratellino, le frequenti assenze del figlio maggiore a scuola e una serie "di mancati rientri a casa".


Articolo (finto) del TgCom del 20/08/2013


Liberato minorenne da tentativo di plagio

Tribunale Catania: gruppo di estremisti


Un piccolo, indifeso ragazzo di 16 anni, catanese, e’ stato tolto alla madre e affidato al buon papa’ perche’ rischiava di trasformarsi in un pericoloso terrorista. Le solite stupide e sterili polemiche per la decisione salomonica del Tribunale etneo che, tra le motivazioni del provvedimento, ha sottolineato la pericolosa appartenenza politica del ragazzo. Per i giudici e gli assistenti sociali la giovane creatura frequenta un gruppo di “estremisti”. Protestano i soliti rompicoglioni: “E’ una caccia alle streghe”.

La madre, racconta “Repubblica”, secondo i giudici non saprebbe badare all’educazione del figlio. Il giovanotto in questione frequenta un luogo dove “e’ diffuso l’uso di sostanze alcoliche e psicotrope”, vale a dire dove si beve alcol e si fumano spinelli. Il 16enne, racconta addirittura la donna, sotto pressione per la separazione dei genitori, non andrebbe punito per quella che e’ una sua passione, la politica.

Nell'ordinanza del Tribunale si rimprovera, di fatto, alla madre di non prendersi abbastanza cura del figlio. Come anche di aver nascosto al marito, a cui sarà affidato anche l'altro fratellino, le frequenti assenze del figlio maggiore a scuola e una serie "di mancati rientri a casa". Siamo alle solite: la pericolosissima cultura sinistroide italiana (ereditata da quel movimento eversivo di massa che era il ’68) tenta ogni giorno di condizionare i giovani del nostro paese adducendoli allo sballo e all’alterazione degli stati di coscienza. Non sarebbe invece meglio che rimanessero davanti alla TV tutto il giorno, tentando di apprendere direttamente dal seno della vita, il giusto e lo sbagliato del mondo? Non sarebbe invece meglio indurli, la domenica, a santificare le feste da buoni ed osservanti cristiani? Sara’ forse la tendenza anarcoide della gente del sud (terroni) che li porta ad allontanarsi dalla retta via? La risposta e’si a tutte le domande. Li vedete i ragazzi delle provincie Padane? Che non si drogano mai, Bevono solo succhi di frutta e passano le giornate a tentare di mettere in pratica tutto cio’ che dalla TV apprendono? Quelli si che sono dei ragazzi felici, sempre con il soldo in tasca pronti ad aiutare il prossimo facendogli fare un giro sulla loro macchina nuova e prestante, e sempre pronti a dare consigli su come apparire meglio e come essere piu’ furbi. Che rovina questo paese con i comunisti.